Un fulmine a ciel sereno. Dopo le proteste del parco Gezi, in Turchia era tornata la normalità: la spallata anti-democratica era stata respinta, i grandi partiti avevano avviato la campagna elettorale in vista delle amministrative del 30 marzo, il governo aveva rivitalizzato i negoziati di adesione all'Unione europea firmando - il 16 dicembre - l'accordo di riammissione e la road map per la liberalizzazione dei visti. Una calma traditrice.
Proprio il giorno dopo, è infatti scoppiato uno scandalo corruzione - con arresti eccellenti - che rischia di travolgere il premier Recep Tayyip Erdoğan e il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp): sono infatti coinvolti ministri e i loro figli, alti burocrati, costruttori, il direttore della banca pubblica Halkbank. Le accuse: riciclaggio di fondi neri provenienti dall'Iran per aggirare le sanzioni anti-proliferazione nucleare, mazzette per ottenere permessi edilizi in violazione della normativa vigente, illegalità di ogni tipo.
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