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Invece no. Ho messo la testa fuori dal cinema con l'idea di aver assistito a un fulgido esemplare cinematografico di occasione sprecata. E il motivo è presto detto. Tutte le davvero eccezionali premesse si esauriscono in un ottimo inizio (quello sì, molto morettiano), fino alla scena della convocazione di Moretti in Vaticano e al suo primo incontro psicanalitico col Santo Padre. Fino a quel punto (ma sono davvero non più dei primi 10/15 minuti) il film promette moltissimo. Ma invece di proseguire su quella strada, lì la storia fa la fine di una balena su una spiaggia e si esaurisce, almeno nella misura in cui il ruolo istituzionale del personaggio di Moretti esce praticamente di scena (Moretti ovviamente resta in campo, ma in pratica il suo personaggio non serve più alla parte per cui era stato chiamato, ovvero lo psicologo che dovrebbe cercare di risolvere i problemi del Papa). La vicenda prosegue invece lungo tutta una serie di situazioni autoreferenziali, buone solo per contenere qualche battuta morettiana fine a se stessa (come la storia della moglie di Moretti - una Buy sprecata -, o la faccenda della guardia svizzera usata da simulacro, o tutta la faccenda del torneo di pallavolo), e che si limitano a fungere da traino a una trama che finisce per vivere dell'intensissima e mirabile interpretazione di Michel Piccoli, che - da solo - regge le sorti del film e contribuisce a far sì che lo spettatore esca dal cinema almeno con la sensazione di non sentirsi defraudato dei soldi del biglietto.
Moretti, dunque, a mio avviso, ha tagliato maluccio il suo diamante grezzo. A dispetto del fatto che si possa cedere alla facile lusinga di intravedere un intento del regista di parlare di Joseph Ratzinger e pertanto della sua eventuale inadeguatezza a ricoprire il ruolo papale (le immagini iniziali sono indiscutibilmente e palesemente tratte dalle esequie di Wojtyla, benché riferimenti alla realtà nel film non ne vengano mai dati), il modo con cui la sceneggiatura si sviluppa non porta davvero avanti i temi cardine della vicenda, né rispetto al ruolo della Fede o della sua contrapposizione con il non credente, né rispetto alla fragilità umana di un uomo che si ritrova sulle spalle un ruolo, che nessuno (dei cardinali) sembra volere, e che rispetto al quale sembra dover servire una dose di forza e di coraggio sovra-umana per poter essere (sop)portato. Non costruisce una visione, Moretti, non giunge a conclusioni, non suggerisce nemmeno riflessioni, a parte quella, che più banale non si può, della difficoltà di accettare un ruolo come quello di Papa. Ho quasi avuto l'impressione che Moretti, il quale non ha mai indugiato alla tentazione dell'autocensura, tutt'altro, in questo caso non sia stato capace (per mancanza di volontà o di coraggio?) di affondare il colpo, di graffiare, di andare a denudare le radici di quelle difficoltà profonde che sono anche quelle di tutti noi, sia di fronte alle prove più o meno grandi che la vita ci chiede di (sop)portare, sia rispetto al mistero dell'esistenza e dello scopo di essa, di cui la Chiesa tenta di somministrare (come ogni religione) una spiegazione preconfezionata, ma le cui contraddizioni morali e politiche in cui versa da sempre, contribuiscono a minarne la stimabilità.
Insomma, «Moretti, di' una cosa da ateo, di' una cosa anche non da ateo, da laico, Moretti di' una cosa, di' qualcosa, reagisci!»
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