Cairo – Ma’an. I leader di Hamas hanno pubblicamente tolto il loro sostegno al presidente siriano Bashar al-Asad, loro alleato di vecchia data, appoggiando la rivolta che sta tentando di rovesciare il suo governo dinastico.
La svolta politica è stata annunciata ieri al Cairo e nella Striscia di Gaza, durante i sermoni pubblici del venerdì, e priva al-Asad di uno dei pochi sostenitori che gli erano rimasti tra i musulmani sunniti, aumentando il suo isolamento internazionale.
Hamas ha reso pubblica la propria posizione dopo aver atteso per quasi un anno, mentre l’esercito di al-Asad, comandato principalmente da membri del gruppo alawita – la stessa a cui appartiene il presidente – , caricava i dimostranti e i ribelli anti-regime, per la maggior parte sunniti.
Alla luce dello scisma che si sta creando in Medio Oriente tra membri di diverse sette religiose, l’abbandono pubblico di al-Asad da parte di Hamas pone delle domande immediate sul futuro dei rapporti del movimento con il suo principale sostenitore, l’Iran (che resta al fianco del suo alleato siriano), nonché con gli alleati sciiti dello stesso Iran all’interno del movimento libanese di Hezbollah.
“Rendo onore a tutte le nazioni protagoniste della Primavera Araba e all’eroico popolo siriano, in lotta per la libertà, la democrazia e il cambiamento”, ha dichiarato il leader di Hamas Isma’il Haniyah di fronte a migliaia di fedeli nella moschea cairota di al-Azhar, dove si trovava in occasione della sua visita in Egitto.
“Marciamo verso la Siria, insieme a milioni di martiri… Niente Hezbollah e niente Iran… La rivoluzione siriana è una rivoluzione araba!”, hanno scandito in coro i fedeli nella moschea, uno dei più illustri istituti del mondo islamico sunnita.
Le attuali rivalità politiche hanno esacerbato tensioni vecchie di secoli tra i sunniti – che formano la vasta maggioranza della popolazione araba – e gli sciiti, presenti in numero considerevole in Libano e in Iraq e dominanti nello stato non-arabo dell’Iran.
Hamas e Hezbollah, che affrontano Israele rispettivamente dal confine sud-occidentale e settentrionale, hanno stretto da tempo un’alleanza strategica, nonostante le posizioni contrastanti in campo religioso. Entrambi hanno combattuto militarmente con Israele negli ultimi sei anni.
Tuttavia, con l’approfondirsi delle divisioni tra sunniti e sciiti nella regione, Hamas sembra tentare la sorte avvicinandosi ai potenti islamisti sunniti egiziani, i Fratelli musulmani, che hanno avuto la fortuna dalla loro parte fin dall’inizio delle rivolte arabe dell’anno passato.
Hamas fa la sua scelta.
“Questo viene considerato un grande passo verso l’interruzione di ogni rapporto con la Siria”, ha affermato Hani al-Masri, commentatore politico palestinese. Damasco, ha aggiunto, potrebbe ora scegliere di espellere ufficialmente le sedi centrali del governo di Hamas in esilio.
Banditi dal presidente dimissionario Hosni Mubarak, i Fratelli Musulmani si trovano ora al centro della scena pubblica egiziana. Ideologicamente sono i progenitori di Hamas, che fu fondato venticinque anni fa all’interno della società palestinese, principalmente sunnita.
Dall’altra parte, gli sciiti di Hezbollah danno ancora il loro sostegno alla famiglia al-Asad, la cui setta alawita, anch’essa sciita, mantiene da quarant’anni il suo governo autoritario sulla maggioranza sunnita siriana. Ora, però, potrebbe ritrovarsi con le spalle al muro.
La vicinanza a al-Asad era comunque motivo di grande imbarazzo tra i palestinesi nei confronti di Hamas, viste le migliaia di oppositori uccisi dal presidente durante le repressioni in Siria.
Ciononostante, il leader di Hamas Salah al-Bardawil si è rivolto pubblicamente alla manifestazione svoltasi ieri nel campo profughi di Khan Yunis, inviando “un messaggio a tutti i popoli che non sono ancora stati liberati; quei popoli liberi che ancora sanguinano ogni giorno”.
“Ogni goccia del sangue sparso in Siria è una goccia che sanguina dai cuori dei palestinesi – ha insistito al-Bardawil – Nessuna considerazione politica ci farà chiudere gli occhi di fronte a ciò che accade sul suolo siriano”.
Più debole l’asse anti-israeliano.
Il divorzio tra Hamas e Damasco era nell’aria da mesi: il movimento si era infatti indignato l’anno scorso contro al-Asad, respingendo una sua richiesta di organizzare delle dimostrazioni pubbliche tra i rifugiati palestinesi in Siria per sostenere il suo governo.
Sempre negli ultimi mesi è avvenuto l’abbandono silenzioso degli uffici di Damasco da parte di Khaled Mesha’al, leader politico in esilio di Hamas, e dei suoi collaboratori. Ogni nesso tra la loro partenza e la rivolta era stato tuttavia negato dal movimento.
Incerta è invece la situazione sul fronte iraniano: Hamas ha infatti visitato la Repubblica islamica diversi giorni fa, con l’obiettivo di rinforzare i legami con la potenza che ha fornito a Hamas armi e denaro per la sua lotta contro Israele. Non è chiaro quale sia stato il risultato della visita, ma il tono dei commenti più recenti di Hamas è poco coerente con la possibilità di un prolungamento dei rapporti sereni con Teheran.
Le manifestazioni a favore della maggioranza sunnita in Siria sono state rare nella Striscia di Gaza, ma ieri è parso che i governanti islamici dell’enclave costiera avessero deciso di rompere il silenzio.
“Le nazioni non vengono mai sconfitte. Non si ritirano e non si spezzano. Siamo dalla vostra parte, e dalla parte di tutti i popoli liberi”, ha ribadito al-Bardawil.
“Dio è grandissimo”, ha intonato la folla, “Vittoria per il popolo di Siria!”
Dall’altra parte, i precedenti rapporti tra Hamas e Hezbollah sono stati storicamente buoni; ciò non toglie però che Hamas non abbia attaccato Israele durante la guerra tra quest’ultimo e Hezbollah, avvenuta nel 2006, mentre il movimento libanese, a sua volta, non intervenne quando Israele mosse la sua violenta offensiva a Gaza contro Hamas nell’inverno 2008-2009.
D’altro canto, qualsiasi divisione tra Hamas e Hezbollah viene probabilmente apprezzata da Tel Aviv, che ha invece seguito con diffidenza i recenti tentativi da parte del movimento palestinese di riconciliarsi con i suoi avversari connazionali di Fatah, il movimento del presidente Mahmud ‘Abbas.
Per quanto riguarda le dichiarazioni di ieri, tuttavia, non vi è stato alcun commento immediato da parte israeliana.