La nostra memoria e le nostre sensazioni sono troppo incerte e unilaterali e quindi, per trovare la veridicità di alcuni fatti, ci basiamo su una "certa realtà". Ma quella che per noi è la realtà, fino a che punto lo è davvero e fino a che punto è quella che noi percepiamo come tale? Spesso è addirittura impossibile distinguere tra le due. Quindi per ancorare nella nostra mente la realtà e provare che sia tale, abbiamo bisogno di un'altra realtà attigua che possa relativizzare la prima. Questa realtà attigua, però, necessita come base, a sua volta, di una terza. Questa catena all'interno della nostra coscienza continua all'infinito ed è proprio grazie ad essa che noi esistiamo. A un certo punto, però, può accadere che la catena si spezzi e si faccia confondere: non capiamo più se la realtà si trovi da questa parte della catena o dall'altra. Mio padre era stato mandato a Singapore a combattere insieme agli altri studenti ed era rimasto lì in un campo di prigionia per un po’, anche dopo la fine della guerra. Nell’ultimo anno del conflitto la casa di mia madre era stata completamente distrutta dalle fiamme, dopo il bombardamento di un B29. Quella dei miei genitori era una generazione che aveva sofferto le ferite di una lunga guerra. Alla mia nascita (4/1/1951), però, non era rimasto quasi nulla che potesse richiamarne alla mente il ricordo: né tracce di bombardamenti, né truppe di occupazione in giro per le strade [..] Abitavamo in una di quelle tipiche aree residenziali della classe media che si trovano di solito alla periferia delle grandi città [..] Allora non conoscevo nessuno che abitasse in un appartamento o in un condominio. Solo quando andai a vivere a Tokyo per frequentare l’'università, capii che non tutte le persone vanno ogni giorno in ufficio in giacca e cravatta, abitano in un villino unifamiliare con giardino e hanno un cane o un gatto. Eppure, allora, era questo l’'unico stile di vita che conoscessi.





