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Helgoland, o il primo distacco dall’intuizione

Creato il 13 ottobre 2010 da Fabry2010

di Antonio Sparzani

Helgoland, o il primo distacco dall’intuizione

Nel 1984 feci un viaggio estivo in Germania con una mia cara amica, fisica pure lei. Quando fummo nel nord del paese decidemmo di andare a Helgoland. Helgoland è l’isola della Germania più lontana dalle sue coste, sta a nord, quasi più vicina alle coste occidentali della Danimarca (alla quale un tempo apparteneva) che non a quelle della Germania. Ci si va prendendo il battello a Cuxhaven, al limite dell’enorme estuario dell’Elba, tipico porto del Mare del Nord, tetti scuri spioventi, case dai colori allegri, mare che la sera diventa nero e lucente come l’ebano, navi e gru sempre in movimento. Perché mai andare a Helgoland? Ma in pellegrinaggio, ovviamente, per dei fisici è un vero pellegrinaggio.

Nel 1925 Werner Heisenberg era assistente di Max Born, all’Università di Göttingen (questa) ‒ Pauli lo era stato l’anno prima ‒ e nel mese di giugno gli venne un attacco di febbre da fieno, che lo costrinse a spostarsi. Andò per un paio di settimane a Helgoland, dove, dicono le cronache dell’epoca, non cresceva un filo d’erba ‒ sarà anche stato così, ma quando arrivammo là nel 1984 col battello, ci venne incontro uno splendore di vegetazione, mah …

Il fatto è che nella pancia di Heisenberg, così come in quella di Born stavano bollendo molte cose nuove, erano passati 25 anni da quando nel 1900 Max Planck aveva buttato lì un seme nuovo e potenzialmente rivoluzionario nella fisica e in quei 25 anni molti avevano scritto, pensato, provato e riprovato strade alternative alla strada classica per spiegare una serie di nuove evidenze sperimentali.
Un mondo nuovo si stava aprendo, ma la strada per arrivarvi ancora era vaga, bisognava inventare una teoria alternativa nientemeno che alla meccanica classica, quella di Galileo, ma soprattutto di Newton, di D’Alembert e di Lagrange, un pilastro che aveva retto con grandi successi due secoli buoni di prove e di sfide. Però bisognava, perché stavolta la meccanica classica non ce la faceva più a spiegare i fatti. Questa la grande frase “spiegare i fatti”, guardare la realtà, fare misure, scrivere numeri e però capire come mai quei numeri sono quelli e non altri. La fissazione ineliminabile dell’essere umano di spiegare, di capire, di escogitare degli schemi di adeguamento della cosa all’intelletto, una sempre nuova realizzazione, o forse un rovesciamento, della formula di Tommaso. Siamo sempre vicini al tema del funzionamento della matematica, naturalmente.

Heisenberg aveva 23 anni e mezzo, si era da poco laureato con Sommerfeld a Monaco (dov’era arrivato un anno dopo Pauli, che vi era giunto da Vienna) e stava iniziando la sua carriera accademica facendo l’assistente di Born, una delle grandi figure della fisica della prima metà del secolo scorso, che poi scriverà con Heisenberg alcune delle memorie fondanti la nuova meccanica.

Senza voler forzare in poche righe un dibattito che viene normalmente descritto in volumi ponderosi, dirò che una delle cose che era stata messa in discussione nei primissimi anni ’20 era addirittura la conservazione dell’energia. Pensate, un caposaldo, una conseguenza fondamentale e inamovibile dell’impianto della fisica fino allora nota, metterlo in discussione denunciava un certo grado di disperazione nella ricerca: non arrivando per altra via si arrivò persino a ipotizzare una tale blasfema ipotesi. Volendo essere un tantino più precisi, si potrebbe dire che si ipotizzò che la conservazione dell’energia valesse sempre in media, ma che potesse essere violata in singoli processi elementari.
Questo ci aiuta a capire come Heisenberg descrive i suoi pensieri a Helgoland:

«A Helgoland ci fu un istante in cui mi venne un’illuminazione, quando vidi che l’energia era costante nel tempo. Era notte, piuttosto tardi. Feci i laboriosi calcoli necessari, e funzionava. Mi arrampicai allora su una roccia, vidi il sorgere del sole e fui felice.»

Tornando a Göttingen Heisenberg incontrò Pauli ad Amburgo, e il 21 giugno gli scrisse:

«Grazie ancora di cuore per l’accoglienza e l’ospitalità così amichevoli ad Amburgo [...] nella mia ricerca di fabbricare una meccanica dei quanti procedo ancora lentamente, ma certo non starò a preoccuparmi se mi dovrò allontanare dalla teoria delle soluzioni periodiche….»

e il 29 giugno scrisse:

«nel frattempo non sono avanzato di molto, ma di nuovo sono sicuro in cuor mio che questa meccanica dei quanti sia già giusta, cosa per la quale Kramers mi accusa di ottimismo….»

Dieci giorni più tardi Heisenberg aveva completato la sua memoria, documento fondamentale della storia della fisica del secolo scorso;[1] egli la mandò in lettura a Pauli (che evidentemente già allora cominciava a essere Das Gewissen der Physik [la coscienza della fisica] come sarebbe stato fino alla morte nel 1958) con queste parole:

«Caro Pauli,
se crede che io abbia letto la sua lettera con una risata beffarda, si sbaglia di molto; al contrario, dai tempi di Helgoland la mia concezione della meccanica si fa di giorno in giorno più radicale [...] siamo d’accordo che già la cinematica della teoria quantistica sia completamente un’altra cosa rispetto a quella della meccanica classica [. . .] è mia convinzione che una interpretazione delle formule di Rydberg nel senso di orbite circolari o ellittiche della geometria classica non abbia il minimo senso fisico e tutti i miei poveri sforzi vanno nella direzione di ammazzare completamente, e sostituire con qualcosa di appropriato, il concetto di orbita, che appunto è del tutto non osservabile.»

E quindi questa fu la prima e importante cosa che Heisenberg intuì: basta parlare di orbite, esse non sono osservabili e dunque non ha proprio senso parlarne, esse sono escluse dalle considerazioni di qualsiasi fisica sensata, s’ha da parlare soltanto di quantità osservabili, ossia chiaramente misurabili, energia, momento, momento angolare, spin, ecc. E questa fu una vera rivoluzione rispetto a quanto s’era pensato fino ad allora, fu davvero un punto di vista nuovo sulla scienza della natura. E anche — un po’ alla volta — su molto altro. Un segno dei tempi, probabilmente.

[1] Il titolo della memoria era: Über quantentheoretische Umdeutung kinematischer und mechanischer Beziehungen, [sul rovesciamento di interpretazione nella teoria dei quanti delle relazioni cinematiche e meccaniche], pubblicato dalla Zeitschrift für Physik, vol. 33, p. 879, ricevuto dalla rivista il 29 luglio 1925.

Ho ricavato molte delle informazioni qui contenute dall’ottimo volume, curato e con un’ottima introduzione, da Bartel Leendert van der Waerden, Sources of Quantum Mechanics, Dover publ., inc., New York 1968.



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