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Hellingen, nemico mio! – Il più grande avversario di Zagor secondo Guido Nolitta

Creato il 23 luglio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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Hellingen, nemico mio!   Il più grande avversario di Zagor secondo Guido Nolitta Zagor Sergio Bonelli In Evidenza Guido Nolitta Gallieno Ferri Franco Donatelli Se il 2011 ha visto Zagor spegnere le cinquanta candeline, nel 2013, a raggiungere il mezzo secolo, è il più grande e pericoloso dei suoi nemici: il professor Hellingen!

La prima apparizione si materializza nell’estate del 1963, in una storia compresa in cinque albetti formato striscia della Collana Lampo (2° serie, n. 17, L’isola della paura), ristampata in formato bonellide sulla collana Zenith nel 1966 (Zagor Gigante n. 11-12, L’isola della paura). Il mad doctor è poi tornato in occasione della prima avventura inedita di Zagor ad essere ospitata sulla Zenith (Zagor Gigante n.39-41, Lo spettro del passato). Sempre all’interno della serie mensile, i successivi ritorni sono datati: 1974 (Zagor Gigante n.107-109, Ora Zero), 1980 (Zagor Gigante n.178-182, Magia senza tempo), 1988 (Zagor Gigante n.275-280, Incubi) e 1997 (Zagor Gigante n.376-379, Ombre su Darkwood).

Sono dunque sedici anni che uno dei villain preferiti dai lettori zagoriani, al pari di Rakosi il vampiro e Kandrax il druido, non si fa vivo. L’ultima volta in cui lo Spirito con la Scure ha dovuto affrontarlo, avevamo lasciato lo scienziato pazzo o, meglio, la sua anima, ancora prigioniera del mondo infernale del demone Wendigo,

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pur sapendo che uno come Hellingen non lo ha mai fermato nessuno, neanche la morte. Semmai a tenerlo lontano dalle edicole è stato il veto del suo creatore: Guido Nolitta alias Sergio Bonelli, il quale, come per altri personaggi da lui ideati, preferiva che restassero confinati nel passato di Zagor, chiedendo magari ai nuovi sceneggiatori di concentrarsi su antagonisti più moderni.

Ma il caro professore, con i suoi marchingegni da scienziato pazzo e i suoi deliri di onnipotenza da genio del male, è davvero superato? Oppure, se in futuro tornerà, come confermerebbero alcune recenti voci di corridoio, potrà ancora dire la sua? In attesa di una risposta, proviamo a ripercorrerne l’epopea e a esaminare l’evoluzione che ha subito nell’ambito della continuity zagoriana.

Hellingen secondo Nolitta

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Nel 1963, Za-gor-te-nay, il giustiziere di Darkwood, ha già alle spalle un biennio di avventure nelle quali si è trovato ad affrontare banditi, truffatori, bellicosi indiani, sosia e gente più o meno bizzarra. Ciò che lo aspetta sull’isola della paura, dove naufraga a causa di un uragano abbattutosi sul lago Eire, è però qualcosa di inedito e impensabile per lui fino a quel momento.
Venuto a contatto, insieme all’amico Cico, con una tribù di pacifici Ottawas, il nostro apprende che i poveri indiani sono terrorizzati da una creatura che si aggira in quei luoghi e che si rivela essere un gigantesco automa di fronte al quale l’eroe non può che restare sbalordito, prima di passare all’azione affondandolo nelle acque del lago.

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L’artefice di un tale abominio è uno straordinario quanto folle scienziato di nome Hellingen.
Gallieno Ferri, disegnatore della storia, lo raffigura come un uomo tetro e avanti con gli anni. I lineamenti duri, il viso in ombra, i capelli canuti e scompigliati, oltre a uno sguardo spiritato, lo identificano subito come malvagio. Anche il camice da laboratorio che indossa, invece di essere bianco, è di un colore lugubre che richiama il male.
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Elementi che graficamente lo accomunano ai mad doctor usciti dall’immaginario fantascientifico della prima metà del ‘900, molti dei quali si rifanno nell’aspetto a Rotwang, l’inventore del film Metropolis (1927, Fritz Lang).
A tale modello fa riferimento
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Virus il mago della foresta morta, cioè il personaggio cui Nolitta dichiara di essersi ispirato. Creato da Federico Pedrocchi nel 1939 e disegnato da Walter Molino, Virus è un genio del male privo di qualsiasi scrupolo e intenzionato a dominare il mondo. Identiche sono le ambizioni di Hellingen che anche dal punto di vista della personalità non si discosta dall’archetipo classico. Una caratterizzazione priva di sfaccettature che lo rende un cattivo a senso unico e che anche nelle successive tre storie nolittiane non subirà mai una vera evoluzione.

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Sergio Bonelli era conscio di questo limite. Da esperto di fumetti in grado di valutare oggettivamente le cose, si rendeva conto di quanto Hellingen segnasse il passo rispetto a molti villain più moderni che si avvalgono di un maggior approfondimento psicologico e di personalità più elaborate. Tuttavia, per quanto antiquato possa apparire, se analizzato fuori dal contesto del fumetto “ingenuo” di quegli anni, è indubbio che il personaggio abbia comunque entusiasmato il pubblico di ragazzi di allora. Tanto più che va considerata la grande novità con esso introdotta: quella commistione di generi che ha fatto la fortuna della serie diventandone una delle caratteristiche principali. Mischiare western e fantascienza e poi ancora horror e fantasy, è stata un’idea vincente che ha consentito allo Spirito con la Scure di sopravvivere a molti eroi da frontiera americana che gli facevano concorrenza in quel periodo.

Un genio precursore

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L’ispirazione, si sa, Nolitta la prendeva dal cinema e dalle letture che divorava in gioventù. Per esempio Titan, il robot che Zagor affronta sull’isola, deriva da comics come Brick Bradford, realizzato negli anni ’30 da William Ritt e Clarence Grey.

C’è anche chi nota come Titan abbia anticipato di quindici anni l’avvento dei robottoni televisivi, dato che il primo Goldrake è stato trasmesso dalla RAI nel 1978. Assolutamente però non vi è alcun collegamento, perché alle produzioni giapponesi Sergio Bonelli non si è mai interessato, ed anche questo è notorio. Se per puro divertimento si volesse fare un paragone, più che ai giganti di Go Nagai è appropriato associare Titan a Tetsujin28 (In Italia: Superobot 28) creato da Mitsuteru Yokoyama negli anni ’50, dato che entrambi non sono pilotati ma comandati a distanza.

Ne Lo spettro del passato, storia in cui il professore fa il suo primo ritorno, il sottomarino, utilizzato per tentare di recuperare Titan, esteticamente ricorda un po’ il Nautilius di Jules Verne, uno degli ispiratori dello steampunk. Un genere al quale però Hellingen non appartiene perché la sue apparecchiature non sono alimentate dall’energia del vapore ma dalla moderna elettricità.
Spaventosamente moderni sono anche i missili che costruisce nel secondo ritorno in Ora Zero. Armi teleguidate che nella realtà vedranno la loro applicazione soltanto un secolo dopo.
E’ però in Magia senza Tempo, quarto ritorno, che Nolitta raggiunge l’apice del suo immaginario fantascientifico introducendo la tecnologia aliena e firmando al contempo la sua ultima sceneggiatura per Zagor.

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Ecco quindi che compaiono astronavi, pistole a raggi, traduttori universali, motorette volanti e poi il “macromolecolatore a campo ionizzato” volgarmente detto teletrasporto, dal cui mal-funzionamento Slavi partirà per raccontare il suo Hellingen.

Comunque sia, invenzioni e laboratori finiscono immancabilmente distrutti al termine delle avventure. Il crollo della base del cattivo dopo che è stato sconfitto è un cliché ma è anche Zagor che si adopera volontariamente per renderli inutilizzabili e impedire che cadano in mani sbagliate. In anni e anni di battaglie ha imparato sulla propria pelle quanto siano eccezionali ma anche pericolose le opere del nemico. Lo “stupido selvaggio” – come apostrofato da Hellingen – non è in grado di comprendere appieno tali avveniristiche scoperte  ma

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ne intuisce il potenziale e da antimilitarista preferisce ritardare il progresso scientifico piuttosto che consentire al governo americano di impossessarsi di armi micidiali.

Le imprese criminali di Hellingen sviluppano un crescendo costante man, mano che torna all’attacco. Così se con il “robottone”  la faccenda è limitata all’isola degli Ottawas, nel momento in cui minaccia Washington e il Presidente degli Stati Uniti con i missili di Ora Zero, diventa un pericolo su scala nazionale. Quando poi si allea agli alieni provenienti da Akkron, per aiutarli ad invadere la Terra, la minaccia copre l’intera umanità.
Tutte azioni che, per quanto fallimentari,  inevitabilmente destano l’attenzione dei ricercatori militari la cui etica, la Storia insegna, si adatta alla convenienza.

Gli alleati

Un elemento che diversifica le ultime due storie hellingeniane di Nolitta dalle prime, è la presenza di un altro malvagio a fare da spalla al mad doctor. Fino a Lo spettro del passato, lo scienziato agisce da solo e con al seguito soltanto mera manovalanza che considera sacrificabile.

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In seguito, invece, comincia a collaborare con uomini di potere ed è anche grazie ad essi e alla forza dei mezzi, dei combattenti e dell’organizzazione che riescono a mettergli a disposizione, che i suoi piani si espandono facendosi più ambiziosi.

Il primo alleato è il colonnello Kraizer che Zagor incontra non appena ritorna a Darkwood dopo aver affrontato la sua prima “Odissea Americana”. Il professore considera utile l’ufficiale ma non lo stima quanto Daimon, il secondo e più importante alleato che compare nell’albo intitolato Il raggio della morte. Daimon, comandante degli alieni, con mantello sulle spalle e aspetto da insettone tratto dai B-Movie di fantascienza degli anni

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Cinquanta, ha un intelletto e conoscenze tali da essere l’unico partner, in assoluto, a venire rispettato da Hellingen. Non un semplice socio ma un compagno d’avventura con cui avere la soddisfazione di condividere un immenso sapere. Un bisogno, quello di potersi confrontare con chi è davvero in grado di stare al suo passo, che il grande genio del male ha
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spesso manifestato più o meno indirettamente.

E’ perciò tangibile la delusione che prova quando al termine di Magia senza tempo, gli Akkroniani, con comandante in testa, lo abbandonano perché colti da un attacco di fifa di fronte a Zagor che ha trovato il modo di ucciderli usando antiche armi forgiate con un particolare minerale.
Forse uno dei momenti peggiori nella vita dello scienziato che ha subito e ha saputo reagire a tante disfatte ma in quell’occasione è sembrato davvero crollare sotto il peso di una solitudine che in fondo lo ha sempre accompagnato.

Le radici dell’odio

Ma perché Hellingen desidera conquistare il mondo? Che cosa lo muove? Senza dubbio il sentimento maggiore che lo anima, anch’esso tipico di un certo stereotipo, è la voglia di rivalsa.

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Le radici dell’odio che prova affondano nel suo passato di cui ci viene detto pochissimo da Nolitta. Sappiamo che prima di costruire Titan ha avuto forti divergenze con colleghi di New York e Philadelphia, i quali lo hanno umiliato definendolo un presuntuoso visionario. Un affronto intollerabile per un individuo che si considera intellettualmente superiore ai suoi contemporanei e a chiunque altro. Un anticipatore dei tempi, un genio incompreso che però sceglie la strada sbagliata per prendersi la rivincita. Egli si vota ad una scienza priva di umanità che non si pone limiti diventando irrispettosa della vita. Per lui il fine giustifica i mezzi e nella sua caratterizzazione monolitica si dimostra incapace di provare rimorso o pietà.

Vani sono i tentativi di Zagor per cercare di convincerlo a fare buon uso delle grandi capacità che possiede, Hellingen è incurante dei problemi che l’affliggono la gente comune e che volendo potrebbe risolvere.

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Ciò non significa che non abbia anche lui delle debolezze umane. Ad esempio, uno dei difetti che più volte l’hanno portato alla rovina, è la vanità.
E’ vero che vive distaccato dalle cose terrene e che pur nella sua follia rimane un uomo pragmatico guidato dalla ragione ma se c’è una cosa che gli provoca godimento è il fare sfoggio di sé. Adora gli adulatori, i complimenti, vedere il volgo ignorante strabuzzare gli occhi di fronte alle sue macchine impossibili.
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Più di tutti ama strabiliare Zagor, mostrargli i suoi “giocattoli” e gonfiare il petto anticipandogli tutte le malefatte che combinerà al mondo. Sennonché a fregarlo è il tipico errore di tergiversare e rimandare la morte dell’avversario fornendogli l’occasione per ribaltare le sorti della situazione. Il che avviene puntualmente, anzi si può dire che faccia parte di una struttura narrativa ben precisa e collaudata.
Una scaletta che Nolitta ha seguito nello scrivere le sceneggiature di tutte le sue storie hellingeniane,

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riassumibile in cinque punti: l’eroe comincia ad essere coinvolto in eventi misteriosi e fatti inspiegabili (1). Indagando finisce per cadere prigioniero (2) del cattivo che si bea della posizione di vantaggio (3) ma commette un errore o una distrazione che consente all’altro di liberarsi (4), andare alla riscossa mandando in fumo il piano malvagio e suonare il nemico come un tamburo a forza di pugni prima di darlo per morto (5) alla fine della tenzone. Salvo poi vederselo ripiombare davanti in futuro, più arrabbiato e combattivo che mai.

Il dualismo tra Hellingen e Zagor

Interessante è soffermarsi sul dualismo diretto tra Hellingen e Zagor. La mente (diabolica) contro il braccio (del bene). Uno ha abbandonato ogni morale, l’altro è strenuo difensore di principi come libertà e giustizia. Non potrebbero essere più diversi ma l’intenzione di Nolitta era proprio quella di donare al giustiziere un antagonista che lo mettesse in difficoltà non con la forza ma con l’astuzia e l’intelligenza. Due individui che col tempo imparano a conoscersi alla perfezione tanto che il professore arriva a chiamare lo Spirito con la Scure: “caro nemico”

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e non per affetto ma perché quest’ultimo ha talmente influito sull’esistenza dell’altro da diventarne una ragione di vita e un’eterna fonte d’dio.

In fin dei conti, senza una nemesi da affrontare e una vendetta da compiere, a un cattivo classico cosa rimarrebbe? Forse è per questo che inconsciamente non ha mai sfruttato le numerose occasioni in cui avrebbe potuto uccidere Zagor ma anche perchè ciò che vuole davvero Hellingen è piegarne la volontà incrollabile. Vederlo implorare, potergli togliere la dignità è un suo grande desiderio come pure la voglia di restituirgli i tremendi dolori che ha provato nell’incendio del laboratorio sull’isola della paura, dove un incidente gli ha sfigurato il volto.
Senza dubbio, all’accrescimento della sua mostruosità,  ha contribuito visivamente  Franco Donatelli, disegnatore del secondo e del terzo ritorno.

Qualunque sadismo di Hellingen è però destinato a tramutarsi in frustrazione perchè Zagor, fedele a una delle sue caratteristiche base ovvero lo stoicismo, si spezza ma non si piega. Allora ecco che, pur di vare la meglio, lo scienziato ricorre al sotterfugio come quando ne Lo spettro del passato utilizza un siero per ridurre temporaneamente il nemico ad una marionetta manovrabile. Durante la vicenda degli Akkroniani invece impianta un chip nella testa di Zagor, di nuovo con lo scopo di

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controllarlo ma anche in quella circostanza il suo successo è breve.

Insomma l’Hellingen nolittiano è destinato a perdere ma ha anche il fondamentale compito di far soffrire l’eroe affinchè possa poi  esaltarsi nel trionfo finale e trascinare così i lettori. Si chiama epicità ed è un’arma che il Sergio Bonelli scrittore ha dimostrato spesso di saper sfruttare, come nella sua ultima e indimenticata storia zagoriana.

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