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Bentornati in un mondo dove l’amore si può comprare sotto casa, dove Eros è lontano chilometri non percorribili dagli improbabili amanti che consumano l’atto amoroso, pardon, l’atto sessuale in piedi, in un equilibrio quanto mai precario, oppure in orge dove corpi forgiati dal nichilismo si avvitano fra loro come fossero anguille (!).
Bentornati in un mondo in cui non si riesce a parlare, in cui le glaciali distanze sono falsamente ridotte da aggeggi futili come il cellulare o MSN (chi è quella cicciona?) che attuano un processo di idealizzazione fra gli interlocutori ovviamente smentito dalla realtà dei fatti.
Bentornati in un mondo senza Dio, senza una stella in cui credere, senza una speranza: la marijuana è Dio e la sua parola serve solo per farla crescere o per redimere senza possibilità di riuscita un uomo sull’orlo del precipizio.
Bentornati a Taipei, l’ombelico sporco di un mondo altrettanto sporco.
D’obbligo, ma anche no, affiancare temporalmente la carriera registica di Lee Kang-sheng a quella d’attore per Tsai poiché si può provare a intuire un doppio filo che lega i due ruoli, magari attraverso delle apparenti coincidenze, tuttavia nel cinema di Tsai e Lee nulla sembra accadere per caso. Sospinto dal fatto che The Missing (2003) originariamente doveva avere, e comunque a prescindere dalle variazioni successive HA, elementi accomunabili con Goodbye, Dragon Inn (2003), ecco che sezionando Help Me Eros va analizzata in primis la data: 2007. Un anno prima l’attore era stato il solito Hsiao-Kang in I Don't Want to Sleep Alone, e cosa succedeva alla fine di questo gioiello? Succedeva che una nube di fumo abbracciava Kuala Lumpur in una sorta di indimenticabile, in senso cinefilo, olocausto. E qui troviamo Kang-sheng intento a soffiare il fumo dei suoi spinelli sui visi delle donne che incontra in un afflato mortale non troppo diverso dalla nube apocalittica del film precedente. Inoltre nella pellicola di Tsai, Lee ricopriva un duplice ruolo accomunato da un’attenzione curativa nei confronti dei due personaggi, in una parola lo aiutavano. Il Lee di Help Me Eros, e lo si capisce già dal titolo, invoca un aiuto (s’intende anche dall’indirizzo mail) tra l’altro a una “divinità”, ossia un’entità che non troverebbe posto in un mondo dove l’amore non esiste.
Poi al livello formale la pellicola è costruita nello stesso modo delle precedenti; c’è l’occhio di bue che illumina la figura centrale interpretata dal regista stesso, alla quale si affiancano altre piccole ma significative storie che hanno la magnifica qualità di intrecciarsi con la vicenda portante in maniera naturale senza bisogno di forzature, e spesso senza l’uso di parole. La sottostoria è ivi rappresentata dalla donna grassa; appena compare nulla si sa su di lei, a parte che ha un marito fissato con la cucina. Subito scatta una molla nello spettatore che ha visto nella tv di Lee un programma culinario, e allora si capisce che queste persone hanno qualcosa in comune.
E poi si arriva al finale che fa collimare con precisione aritmetica le strade percorse durante la proiezione (e anche se non la fa chissenefrega). Trattasi di vere e proprie ciliegine su torte ghiottissime, e pure qua la conclusione ha la sua immagine dolente: un uomo in bilico che funge da sinonimico per un’umanità non messa granché bene. E quando di lui rimangono foglietti della lotteria fluttuanti nell’aria, è meglio tacere per poter Riflettere.
In parole povere, anche questo film si incastra nel puzzle tsaiano della solitudine, e ne consegue che una visione asettica, ovvero priva di conoscenza sul maestro taiwanese, non ne farebbe apprezzare in pieno il valore che in realtà ha. Se invece credete come me che Tsai stia scrivendo la storia del cinema contemporaneo, i film del suo allievo sono degli ottimi spin-off che arricchiscono un’opera omnia preziosa come poche altre nella nostra epoca.
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