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Hereafter, di Clint Eastwood

Creato il 23 gennaio 2011 da Dallenebbiemantovane

Hereafter, di Clint Eastwood (foto da Magic Lantern)

Il film è quel tipo di solido melodramma cui Clint ci ha abituati da Mystic river (il suo migliore, secondo me) in poi. Con l'aggiunta che, qui, si ha la sensazione che Dickens non sia solo l'icona il cui ritratto campeggia nella cucina di Matt Damon, il quale una volta a Londra andrà devotamente a visitarne la dimora e a sentire un reading dickensiano tenuto da Derek Jarman alla Fiera del Libro. Sembra che il regista stesso abbia voluto farci intravedere attraverso il grande scrittore e i suoi splendidi, lacrimosi drammi, qual è il genere di sensibilità che ci dobbiamo aspettare.
Non che sia una sorpresa, a questo punto, dopo Million dollar baby, Changeling etc.
La tramq, quindi, non riserva grossi colpi di scena, fila liscia senza sbavature esattamente nella direzione in cui deve andare, come una boccia su un piano inclinato che sembra orizzontale ma se lo guardi bene lo vedi anche a occhio nudo che proprio orizzontale non è.
Ti commuovi quando devi commuoverti, e il contrario sarebbe impossibile, specialmente nella storia del piccolo Marcus (tra parentesi: che bello quando vengono scelti bambini normali, in questo caso con madri normali, e non belloni e bellone da spot delle fette biscottate).
Le tre città da cui parte l'intreccio dei protagonisti (Londra, San Francisco, Parigi) sono sfondi da cartolina, ognuna come ci si aspetta: qui il London Bridge, là i tetti al tramonto con Tour Eiffel sullo sfondo... e va be'.
Non nego inoltre una certa delusione nello sviluppo del personaggio di Marie: da agnostica quale sono (la mia posizione si avvicina a quella della dottoressa Rousseau e a quella, mi par di capire, dello stesso regista: non ci credo ma ho troppe prove per non farci almeno un pensiero), sarei stata curiosa di vedere sviluppate le visioni della donna che è sopravvissuta allo tsunami e non riesce più a tornare alla sua quotidianità.
Invece la parte medianica se la tiene incollata Matt Damon, medium riluttante ("non è un dono, è una maledizione"), peraltro con visioni abbastanza convenzionali e troppo brevi per impressionare.
Damon sul quale, non avendo mai visto (colpa mia) Il talento di Mr Ripley, continuo a pensarla come sempre: che la sua maledizione sia avere la facciotta da bambino e un corpo massiccio, per cui finché non lo vedrò nel ruolo di un tossico, di un magnaccia sanguinario, di un mafioso dell'800 o di un nazista sadomaso, continuerà a sembrarmi non abbastanza bravo, perché a fare sempre quello carino-buono-sensibile sono capaci tutti.
Leggendo tutto ciò, uno potrebbe ragionevolmente sentirsi sconsigliato.
Invece no. Mi è piaciuto tantissimo e sono uscita sentendomi meglio di quando sono entrata, il che di questi tempi è già un risultato.
E mi conferma che, in mezzo a tanti registi che perdono la strada di casa, Clint non sbaglia mai un colpo.


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