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Ho davvero le qualità necessarie per scrivere?

Da Marcofre

C’è un aspetto deprimente che spinge lo scrittore esordiente umile a cercare come un pazzo la risposta alla domanda che lo assilla. E questa è:

Ho davvero le qualità necessarie per scrivere?

Prima di cercare una risposta, voglio spostare l’attenzione dei lettori (ma ci siete davvero? Boh!) sull’aggettivo umile che ho usato poco sopra. Di solito lo scrittore esordiente è presuntuoso, non legge, scrive come una pecora e se gli si fa notare questa semplice verità, diventa arrogante e tende a offendere.

La percentuale di tali personaggi sembra sia del 95%. Resta un 5%, e questa è una buona notizia, sotto certi aspetti. Vuol dire, o scrittore/scrittrice umile ed esordiente, che te la dovrai vedere con un numero relativamente basso di “concorrenti”.

Di solito l’esordiente si rivolge ad amici, conoscenti, non di rado va a caccia del parere di laureati, come se un titolo di studio fosse garanzia di chissà cosa.
Molte pecore hanno occupato la stanza dei bottoni, proprio perché avevano i master giusti, ahimè.

Persino un editore può essere un pessimo consigliere, e un editor pure. Tutti sbagliano: non solo il ragazzo che serve due etti di prosciutto crudo quando la signorina a dieta ha chiesto un etto e mezzo. Pure i grandi.
Ma esiste una risposta alla domanda che è il titolo di questo post? Non credo.

Sono talmente tante le variabili che entrano in gioco che non è possibile dire: se sei così allora…
L’unica cosa che occorre fare è leggere, e poi rileggere. Tornare sulle frasi, i dialoghi, leggerli ad alta voce. Mai avere fretta. Poi ri-scrivere certo, e cancellare tutto, o almeno il 90%.

Però ho un paio di idee a proposito. La prima: la severità dell’occhio. La seconda: un formidabile odio nei confronti della retorica, delle frasi fatte, della povertà linguistica che dilaga.

La severità dell’occhio. Vale a dire uno sguardo che non si ferma in superficie delle cose, ma scende, va oltre, coglie differenze e dettagli. Si accorge di sfumature dove gli altri vedono solo il bianco o il nero. Vede la profondità mentre gli altri si arrestano all’apparenza. Osserva. Sa che questa condotta richiede tempo per fornire un qualche risultato, ma non gliene importa.

L’odio nei confronti della povertà linguistica. Forse l’aspetto più grave, perché un linguaggio sciatto, colpisce al cuore la funzione della parola. Questa non esiste per permettere alla bocca di emettere suoni. Ma per cambiare le cose. Per comunicare. Per stabilire con gli altri dei ponti, delle conversazioni.

Solo se si ama la parola si desidera sfuggire alle scemenze, ai clichés, a tutto ciò che la deturpa, la rende fasulla.

Non so se queste mie idee sono poi davvero quelle necessarie per permettere allo scrittore/scrittrice esordiente umile di andare da qualche parte. Restano fuori tante di quei fattori, tra cui la fortuna, e su tutte il talento, che forse ci si può dedicare tranquillamente ad altro.

Ma sono idee personali, esatto.

P.S. Post ispirato dalla lettura di John Gardner e il suo “Il mestiere dello scrittore”. 


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