La settimana scorsa sono andato alla posta per prelevare dei soldi dalla postepay. Da anni ci deposito dei soldi – soldi che ovviamente spendo – ma mai, da quando ho la carta, ho prelevato. Sono entrato nella posta e l’ho trovata vuota. C’era il cartello: “Benvenuto Rob” appeso sulla parete. Le cassiere erano tre brasiliane che indossavano dei perizoma scomparsi in due cadauna chiappe, ma due cadauna chiappe, che più sode non si può. La brasiliana numero due, la così detta ‘chiappa apribottiglie’, mi dice salve. Io le dico salve. Mi chiede cosa può fare per me. E io penso in che senso?, e poi le dico che voglio prelevare. Bene, mi fa. Io sorrido. ‘Muoviti chiappa apribottiglie che ho fretta, ho’. Passa la mia carta in una fessura e poi mi allunga un tastierino numerico, e mi fa digiti il PIN. Il PIN? La postepay ha il PIN? E allora a che diavolo serve quel numero che è stampato dietro la carta?
(Numero che, tra parentesi, ho sempre inserito dove il sito mi chiedeva il codice qualcosa e, numerino il quale non mi ha mai dato problemi facendomi andare a buon fine le mie transazioni.)
La brasiliana mi guarda con sguardo severo. Scompare il cartellone di benvenuto, compare una fila lunga di anziani che aspettano impazienti dietro di me – di quelli che ti mettono l’ansia sulle previsioni del tempo e sul fatto che devi maritarti – e al posto delle brasiliane compaiono tre racchie zitelle che ci avranno le labbra della vagina screpolate, oltre che ammuffite. Dice che il PIN è la mia data di nascita? La zitella si riprende il tastierino. Senza PIN non si preleva. Cazzo santo, e dove lo becco ora sto PIN?
Corro a casa. Svuoto tutti i cassetti – cinque – della mia camera e rovescio il contenuto sul letto e sul pavimento. Qui ci dovrà pur essere un documento delle poste conservato. Cerco, cerco, cerco, quando infine lo trovo, quel PIN di merda, è tra i biglietti di auguri dei miei amici per i miei diciotto anni e i temi che gli amici più stretti mi scrissero quando, a diciotto anni, il terapista mi chiese se potevo chiedere agli amici più stretti di scrivere un tema con argomento: “Come vedo rob?”.
(Nel senso profondo, non parlo di oculistica.)
Torno dalla racchia, digito il PIN, ritiro i due euro, con i quali mi compro un gelato alla nutella e al succo d’arancia. Torno a casa e trovo il disordine che ho provocato per trovare il PIN. PIN, PIN, PIN. Mi prometto che presto metterò tutto in ordine, mentendomi. Dopo una settimana è ancora tutto in disordine. Accanto al mio letto c’è un – come si chiamano quei cosi che usano negli archivi?, quei raccoglitori giganti con il buco con cui sfilarli dal contenitore – con dentro anni di cose conservate, inutili cose conservate. Questa inutile caratteristica l’ho ereditata da mio nonno, quindi non è inutile.
Insomma, stamattina mi sveglio e nel buio e nella corsa che mi stava scappando la pipì sono inciampato in quella merda di coso con il buco. Ho sbattuto il ginocchio ma, ho imparato la lezione.
(Che è: per quanto un culo possa risultare sodo, e anche se il soprannome del suddetto fosse ‘apribottiglie’, è sconsigliato usarlo per aprirci le bottiglie; i motivi sono diversi: se voglio mangiare della nutella mi compro un gelato e, non sai mai con quel culo, la zitella, cosa ci ha fatto.)