Mi accorgo ora che ho un problema, molto serio, con il gratis.
Ma non con il ricevere cose aggratis eh, ovviamente no, ma con il concetto, tutto italiano sembrerebbe, del “lavorare aggratis”.
Lavorare gratis, sembra, la regola, più che l’eccezione dalle nostre parti, e mi sorprende che ci sia ancora chi si stupisce di questa cosa. Uno su tutti, e non per accanirmi su Expo ma solo perché è l’ultima che ho letto e che mi ha scatenato questo pensiero, vi mando a leggere di questo studente che ha lavorato aggratis a Expo per un paio di giorni, riempito di vane promesse e poi lasciato a casa grazie e arrivederci. Oppure i 20 impiegati del padiglione del Belgio che, si dice, abbiano abbandonato il lavoro e siano tornati in patria dopo aver capito che non sarebbero stati pagati per la cifra pattuita (che loro avevano capito netta invece era lorda) nè per le due settimane di lavoro pre-apertura… sè, vabbeh.
Che poi, non dovrebbe nemmeno stupirmi più di tanto: giusto l’altro giorno sono stata insultata da qualcuno perché ho fatto dell’ironia sul favoleggiato stage da miseri 1600€ su Expo, non conoscendo, io, il “costo della vita” nei paesi “esteri” da cui provenivano gli ingaggiati per lo stage (la Svizzera, si, la Svizzera).
Perciò attendo a breve un emendamento al jobs act che intimi di pagare gli stipendi (agli esteri eh, italiani noi stiamo tranquilli, a meno di non andare all’estero, allora pretenderemo di essere pagati in proporzione al costo della vita italiano) in proporzione al costo della vita del paese di provenienza e residenza. Non sarebbe tutto più cool?
Ma comunque, torniamo all’argomento principale: il lavoro gratuitamente retribuito, hot trend che spopola da decenni nel bel mondo del lavoro.
Voglio dire, ho 36 anni, lavoro da più di 10 ormai, e in ogni istante della mia “carriera” mi sono sempre trovata nel “dovere” di lavorare gratis, per questo o quel motivo.
Ho iniziato con gli stage formativi (mica solo uno) che non avevano neanche il rimborso spese o il ticket pranzo (e dovevi ringraziare pure che ti facevano fare l’esperienza giusto?)
Ho lavorato in albergo dove dovevi fare extra e coprire il turno degli altri mentre facevano sciopero e dovevi startene muta, perché eri l’ultima arrivata.
Poi ho lavorato in ufficio, dove ti mandavano alle fiere a prendere i cataloghi ma ci andavi a spese tue e senza rimborso (scusate, ma pure quelli è lavorare gratis).
Poi sono stata disoccupata, poi sono diventata freelance. E mi si è ripresentata la golosissima occasione… di lavorare gratis, per un certo periodo (chiamato più o meno ufficialmente “periodo di prova”) per “dimostrare come lavori e chi sei”.
Ok, niente di grave, lo fanno tutti, lo chiedono tutti, se ne lamentano tutti.
Il problema è che qualche volta continuano a chiedertelo anche quando hai ampiamente dimostrato chi sei o cosa fai. Anche quando ti apri la partita iva, che poco non costa, e ti presenti come consulente con un certo portafoglio. Anche quando ti contattano perchhè “hanno visto cose” che hai fatto, ma ancora non sono convinti delle tue skills. Anche quando ti affidano un progetto, ma continuano a chiederti quelle due o tre “cosine extra” perché “tanto sei brava e veloce” e poi “in un modo o nell’altro hanno comunque a che fare con quello che fai, no?”
E’ che poi ogni tanto io mi fermo e mi chiedo se questa gente, che ti chiede di lavorare gratis, sa quanto ti sta umiliando con questa richiesta. Probabilmente si, ma se ne frega, perchè il business business e si fa così. Almeno qui in Italia.
Tanto che nessuno si stupisce più dell’andazzo, di queste scandalose richieste, nemmeno io. Tanto che scandaloso ti sembra quando trovi qualcuno che non batte ciglio e che invece dà per scontato di dover investire su di te, su quello che fai, su chi sei. E tu ti ci trovi davanti e li guardi così, come una fessa, chiedendoti dove sta la fregatura (perché prima o pii ti chiederanno di fare qualcosa gratis dai, non può essere che vogliano davvero PAGARTI per il tuo lavoro…e pure pagarti il giusto!)
Capite? Capite come in poco tempo, di volta in volta, si distorce la visione del lavoratore fino a che, alla fine è troppo tardi?
E’ come vivere in casa con il proprio aguzzino: alla fine scatta la Sindrome di Stoccolma e noi lo giustifichiamo pure! Ci arrendiamo all’uso e costume, alla normalità della cosa, e ciao ciao autostima, ciao ciao amor proprio e rispetto di sé e del proprio valore.
Ciao, ciao bambina.
Ecco, ora io ho un problema con questo tipo di richieste “di favori” in amicizia. Solo che non riesco a capire se ho più un problema con chi chiede, o con me stessa che, probabilmente per abitudine, sicuramente per paura di perdere l’aggancio o la commessa, chino la testa e faccio. Aggratis.
O per la gloria, la patria, l’onore…
Ma chi voglio prendere in giro? Lo faccio per paura, pura e semplice paura.
Ogni volta è una lotta di intestino. Si, perché te la fai sotto dalla paura di essere lasciata a piedi per quell’antipatico no, per quella alzata di testa e quella spinta di orgoglio che ti porta a fare obiezione, alla richiesta del “favorino”.
Perché il frigo non si riempie da solo con la spesa che ci salta magicamente dentro, e la luce e il gas e l’affitto costano, e da qualche parte un lavoro lo dovrò pure rimediare, e se il prezzo e quello di qualche “favoruccio gratis” che diamine… lo fanno tutti, lo devo fare pure io, no?
No???
Ecco, ora andiamo a rileggerci il caro vecchio articolo sull’imparare a dire di NO, costi quel che costi, e poi cerchiamo di farci coraggio.