Magazine Diario personale

Ogni promessa è debito…

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Ogni promessa è debito, ma se passo a riscuotere son czzi acidi per qualcuno.

Riflettevo oggi sulle tante, troppe promesse che mi sono state fatte, al tempo della disoccupazione.

Fin dagli albori, dagli inizi di questa “fantastica” avventura, infatti, il mio percorso è stato costellato di incontri, più o meno fortuiti. La gran parte della gente aveva qualcosa di buono da dirmi, sempre qualche “valido” consiglio da estendermi.

Ma i più, avevano promesse da fare.

Mari e monti da spostare, a parole, per me.

O meglio: per togliersi me dalle palle.

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Sono sicura che sia capitato anche a voi, perché più o meno la timeline della disoccupazione si snoda così:

  1. Primo attimo: panico strage e tragedia (su cui sorvoleremo perché ci siamo già dilungati abbastanza, e poi classicamente è un momento di raccolta, analisi interiore, silenzio basito, giornate a chiudersi in casa per la vergogna, a battersi il petto cercando un colpevole, e a chiedersi “e ora, che farò??”)
  2. Secondo attimo: accensione motori ausiliari, si comincia a rispondere alla fatidica domanda “e adesso che farò” spremendosi le meningi e cominciando a uscire dal guscio… e a chiedere. Superando le proprie timidezze e idiosincrasie, i disoccupati cominciano a chiedere: “c’è lavoro, avete lavoro, per caso vi serve qualcuno che…?”

E la richiesta procede a cerchi concentrici: ci si “brieffa” con genitori, amici, parenti, per poi estendere il brief a conoscenti, e infine si arriva agli emeriti sconosciuti.

  1. Il terzo attimo vede l’estensione della richiesta di lavoro/aiuto agli estranei, ed è il momento dell’invio dei cv. Anche su questo stenderemo un pietoso velo, poiché ne abbiamo già parlato a sufficienza… e sapete bene cosa ne penso.

Da qui in poi niente è più facile: ci sono colloqui e infiniti silenzi, per i medio-fortunati, o solo infiniti silenzi per i meno fortunati. E ci sono ancora tante, troppe richieste, e silenzi sempre più grandi, che finiscono per inghiottire tutto, anche l’ultima speranza.

Ma torniamo a concentrarci sul momento 2, quello del brief e della condivisione delle domande, e più precisamente al momento in cui si innesca la famigerata “rete” di connessioni: io chiedo a una persona, quella chiede ad altre due, e così via.

Prima di chiedere alle altre due persone, però, la persona a cui io disoccupato chiedo aiuto si sente in dovere (senonchè in diritto) di fare due cose:

  1. Darmi consigli (ad cazzum) su come attivarmi per uscire dall’empasse (e credetemi, ne ho sentiti di fantasiosi)
  2. Farmi delle promesse. Ad cazzum anche queste, campate in aria che manco il Castello Errante di Howl.

Per dirne una: disoccupata nel 2012, mi sono sentita dare conforto con il fatidico “vedrai che per Expo si apriranno posizioni, ti chiameremo sicuramente perché avremo bisogno…”, da amici, conoscenti, amici e conoscenti di mio padre (che a sua volta ha dispensato talmente tanti aiuti e regali nel corso della sua vita che  c’era da sentirsi sicuri che se anche solo l’1% di quelli fosse tornato a mio vantaggio sarei stata a posto… e invece.)

E invece, l’Expo è passato e trapassato, e niente. Niente lavoro (a pagamento figuriamoci poi ahahaha la barzelletta del secolo), niente telefonate, niente “si, mi ricordo che eravamo rimasti d’accordo che”, niente di niente (e per fortuna, osiamo dirci).

E tutte le altre promesse? “Stai tranquilla che so che lavori bene, sento il mio amico e ti faccio sapere”, oppure “se tutto va come dico fra NN mesi ho un lavoro per te” o ancora “non preoccuparti a breve apriremo una posizione, mandami il tuo cv”…

Cv mandati, lettere di presentazione, telefonate, passaparola. Promesse promesse promesse.

Parole parole parole soltanto parole…

E gente che ha cominciato a negarsi al telefono, persino. Che voglio dire: in viaggio alle Barbados mica ci stai tutto l’anno (altrimenti sul sito della tua azienda ci sarebbe un bel banner “ci siamo trasferiti alle Barbados”, no?)… ma un minimo di coerenza, meno faccia di tolla, un pò di coraggio delle proprie inazioni, no?

E non fraintendetemi, non sono certo rimasta lì ad aspettare: il mio futuro sapevo che avrei dovuto ri-costruirmelo io, che nessuno ci avrebbe pensato.

Però ogni tanto ci ripenso, a quelle assurde promesse, fatte per sciacquarsi la coscienza e poi dimenticate, nascoste sotto lo zerbino.

Ci penso, io, ai favori fatti e mai resi (fai un favore scordatelo, fai un torto ricordatelo, dice il proverbio, no?).

Ci penso, alle assurdità sentite, ai “punti fragola” accumulati su un catalogo ormai scaduto da un pezzo (e il supermercato ha pure chiuso).

Ci penso e, almeno, ci rido un po’ su.


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