foto dell'autrice
Sono sbarrata nel mio ostello, tutti gli hotel chiusi con catene per ordine dell’esercito fino a domattina. Ero venuta apposta, dal Sinai, per partecipare alla nuova “manifestazione da un milione” a un mese dall’inizio della rivoluzione. Ma visto l’incidente di ieri (vedere post precedente) le cose sono cambiate ancora.
Questa mattina quando sono uscita alle nove e mezza dormivano tutti, reception buia e nessun segno della colazione prevista. Scendo dal secondo piano al piano terra e mi trovo in questa gabbia: cancello chiuso con catena e lucchetto grande come una mano. Tre soldati seduti in portineria mi spiegano che se esco devo rientrare entro mezzogiorno, l’ora della preghiera, o star fuori fino a sera. Si scusano.
Nel frattempo, scendo in piazza e di nuovo conosco persone, mi vendono bandiere e stemmi, alcuni ragazzi mi accompagnano alla caffetteria che cerco per la colazione… Faccio decine di foto, il clima è di festa, non di tensione. Sono di nuovo l’unica straniera e tutti si girano a guardarmi o cercano di parlarmi. Mi arrangio a sufficienza col poco arabo che so. Un signore arriva con un biglietto scritto in inglese e mi ripete più volte che è in possesso di informazioni top secret su un collaboratore di Bin Laden, se mai potessi metterlo in contatto con giornalisti americani. Vuol lasciarmi il suo numero, gira con un curriculum spiegazzato in mano. Intanto, tutti si inventano un mestiere: vendono la bandiera egiziana in tutte le forme e i gadget possibili da 2 a 5 pounds egiziani, ragazzini chiedono 2 lire per disegnare il tricolore sui visi dei bambini, donne vendono acqua e perfino fazzolettini su ogni strada. Chi manifesta per l’Egitto, chi per la Libia o tutti e due insieme. Chi forma capannelli con cori diversi gridando qualcosa di arrabbiato per l’episodio di ieri. Ci sono ragazzi, uomini, donne, famiglie con bambini. Dall’energia esaltata che hanno ancora addosso alcuni, penso non siano mai tornati a casa. Carri armati stanno di guardia all’inizio e alla fine di ogni via. Li fotografo tutti. Non appena mi si accodano un paio di ragazzi col pretesto di scortarmi o di aiutarmi, mi permettono di venir lasciata in pace da tutti gli altri. Non si capisce bene cosa vogliano e forse non lo sanno neanche loro: di fronte a una straniera qui adesso sono solo meravigliati, felici e molto curiosi. Ieri sera mi hanno regalato un tè caldo. Oggi qualcuno di loro mi ha dato il suo numero dicendomi in arabo, se succede qualunque cosa in piazza chiamami.
Torno all’ostello per prender due cose dopo aver appena deciso di voler star fuori fino a stanotte. Ma quando faccio per uscire di nuovo, nonostante non sia ancora mezzogiorno, i militari che hanno occupato la portineria mi dicono che hanno ricevuto nuovo ordine, niente da fare, chiusi dentro addirittura fino a domattina. Quel cancello sembra una gabbia mentre il Cairo mi chiama. Li ho fatti persino parlare con il marito di Jasmine (vedere post precedente) perché il mio arabo non era certo sufficiente, sono scesa due volte a cercare di convincerli, niente da fare. Ringrazio il cielo di aver preso la camera in angolo con balcone che mi permette di vedere quasi tutto. Anche se resto arrabbiatissima per questo senso di prigionia, e l’impressione di perdermi qualcosa, perché là in piazza questa mattina sono stata benissimo.
Oggi qui imperversa la tempesta di sabbia cairota, che ha fatto sì che si cancellassero anche dei voli in partenza. I miei infissi non si serrano bene, a tratti si spalanca tutto, e la polvere arriva ovunque come se non avessi mai lasciato Dahab. Forse mi segue da là. Certo questo vento forte agita le persone e crea un’atmosfera ancora più accesa. Tutto sbatte e tutto vola via, tra nuvole di sabbia, polvere e terra che vengono dal deserto e dallo stesso enorme cantiere davanti al Museo, che non ci lasciava dormire stanotte. Parlo al plurale perché mi pare d’aver visto un altro straniero in un’altra stanza. Poi, i tre receptionist, i militari sotto, e nessun altro.
Ieri sera ad Anno Zero su Rai Due ha parlato Luttvak, e come se nulla contasse quello che sa e che scrive la gente qui, e come se a nulla contassero nemmeno i fatti e le immagini, ha lavato il cervello alla sua audience sul fatto che il governo di Mubarak non avrebbe mai ordinato all’esercito di sparare sulla folla, ma addirittura (udite udite) nemmeno alla polizia, perché l’Egitto è sostenuto dagli americani, questa grande “democrazia”, e quindi non si sarebbe mai permesso… Ci mancherebbe. Io ho fatto la mia parte, come l’hanno fatta tanti altri del mestiere tra giornalisti e privati, ho scritto tutto nei post precedenti e il resto è storia, con tutti i suoi documenti o scene dal vivo per chi c’era, e non cercherò più di far cambiare idea a chi non vuol vedere. Perché comprendo che per certe persone perfino i fatti non bastano come prove, e non conosco nulla di più dimostrabile di un fatto – quindi mi risparmierò la fatica, e scriverò per chi è intenzionato a sapere.
Mentre scrivo, qui sotto il popolo di Tahrir è in marcia, sotto una bandiera lunghissima, tra striscioni e cori diversi, fufuzelas, clacson, percussioni e canti. Sono certa che non ci sarebbero stati problemi se mi avessero lasciata uscire, e di nuovo, come in Italia, ho l’impressione che il terrorismo sia più dentro, nella chiusura della paura, che fuori in mezzo alla gente. Là mi sentivo protetta dai soldati, dal numero e dalla festa. Ma se questo giorno spetta solo ai cittadini egiziani, è anche giusto che sia così.
Nel frattempo dal Maadi (Cairo) Jasmine mi comunica che la situazione è rientrata sotto controllo solo dall’alba in poi, che l’ospedale dove sono ricoverati sia il poliziotto che ha sparato ieri che la sua vittima autista non è molto distante da casa sua e che oggi anche là si prevede una grossa manifestazione.
Nella regione di Behera un generale della polizia ha parlato come se lui fosse a capo del governo e come se nulla fosse mai successo, “ora che vi siete accorti di com’è la situazione senza di noi, riprendiamo il controllo sotto il nostro potere” – parafraso dall’arabo. Speriamo che i militari arrivino presto anche lì a chiarirgli le idee.
Qui c’è un vento che ti sposta, polvere ovunque sul PC e nell’aria, il cielo è color ocra, e pieno di suoni di festa. Nessun segno di violenza e, se potessi, mi calerei dal balcone. Vi aggiorno più tardi se vengo a conoscenza di altre news underground.
Qui sotto alcune foto, ma cresceranno di numero con le ore.