Homemade - Pomodori secchi sott'olio

Da Sbargigli
In questi giorni mi sono messa all’opera per preparare un po’ di prelibatezze fatte in casa con le mie manine da regalare agli amici in vista del Natale.Le conserve, oltre ad essere semplici e divertenti da realizzare, se fatte in casa permettono di trasportare nel tempo i sapori di stagione.Bisogna seguire alcune regole per conservare bene frutta e ortaggi in modo naturale. Le marmellate, i succhi di frutta, le conserve in salamoia, sciroppate o al naturale vanno sterilizzate e così i materiali da utilizzare, come vasi, bottiglie, guarnizioni e coperchi. I materiali si fanno bollire in acqua per qualche minuto. Si estraggono dall’acqua con una pinza e si adagiano, rovesciati, su di un canovaccio pulito. Dopo 5 minuti si girano per far evaporare anche l’acqua all’interno. Al momento dell’uso dovranno essere perfettamente puliti e asciutti.Per la sterilizzazione della conserva invasata esistono speciali pentole in commercio, ma altrettanto efficace è il vecchio e collaudato “sistema della nonna” che prevede l’uso di una normale pentola in acciaio, della capienza adatta a contenere completamente i vasi (e qualche centimetro d’acqua in più). Si procede in questo modo: si posizionano teli di stoffa sia sul fondo della pentola che tra un vaso e l’altro, per evitare che urtandosi si rompano; si riempie d’acqua (l’acqua deve superare di qualche centimetro i vasi in altezza); si porta a bollore e si lascia sobbollire a fuoco basso per tutto il tempo indicato dalla ricetta.  Se il tempo di sterilizzazione richiesto fosse particolarmente lungo, occorre tenere sotto controllo il livello d’acqua nella pentola, aggiungendo acqua bollente se serve. Una volta terminata la sterilizzazione, i vasi andranno fatti raffreddare nella loro acqua. Per le conserve sott’olio e sott’aceto non è sempre indispensabile sterilizzare, perché olio e aceto sono conservanti naturali. Alle volte però, alcune ricette, consigliano la sterilizzazione (soprattutto quando tra gli ingredienti c’è il pesce). Fondamentale per la buona riuscita di sott’olio e sott’aceto è servirsi di tappi e vasi di vetro sterilizzati e senza tracce di umidità. Anche la materia prima da conservare deve essere ben asciutta. L’olio deve sempre coprire il livello del contenuto. Le conserve sott’aceto nel corso dei mesi possono perdere “croccantezza” perché l’aceto continua a cuocerle. Le conserve ultimate vanno riposte in luogo fresco e asciutto, possibilmente al buio, e lontano da fonti di calore. E’ sempre buona norma etichettarle con il nome del contenuto e la data di confezionamento. Nei primi 15 giorni è meglio verificare che i coperchi non si siano gonfiati: se così fosse la conserva non può in nessun caso essere mangiata.Inutile dire che per ottenere una buona conserva sia necessario scegliere ingredienti di ottima qualità e di stagione. Escludete quindi ortaggi mal conservati che presentano macchie, tagli, muffe, ammaccature, zone di colore molto diverse. La consistenza deve essere media: né troppo acerba né troppo matura. Anche l’olio, l’aceto, il vino, gli aromi e gli altri ingredienti utilizzati nelle ricette devono essere di buona qualità: per l’olio preferite l’extravergine d’oliva.Nel caso di salse e confetture possiamo sostituire la sterilizzazione versando la salsa ancora bollente nei vasetti, chiudere subito ermeticamente, mantenere il vasetto capovolto per almeno 15 minuti e far finire di raffreddare con il tappo rivolto verso l’alto. Questo rimedio produce in modo naturale il sotto vuoto.
Veniamo adesso alla mia ricettina:
Ho fatto bollire per qualche minuti i pomodori secchi con acqua e aceto in modo da ammorbidirli leggermente.
Li ho scolati e li messo dentro i vasetti (previa sterilizzazione) pressando bene. Ho aggiun to qualche spicchio d'aglio, peperoncino, basilico, timo e poi ho sommerso di olio. A questo punto non resta che chiudere bene il vasetto e mettere in moto  la fantasia confezionare in mdo carino la vostra preparazione. Spero che il mio risultato sia di vostro gradimento. Che ne dite? Avete qualche spunto da darmi per altre confezioni?

CuriositàRisale al 1555 il primo ricettario di conserve. E’ il “traitè des confitures”, scritto da Nostradamus, che, conosciuto come medico e astrologo, era anche un appassionato cuoco e frequentatore di laboratori di speziali.  A lui dobbiamo l’invenzione di molte delle ricette ancora in uso, e tanti preziosi suggerimenti, come quello di utilizzare lo zucchero o il miele per conservare la frutta, o quello di preferire il mosto cotto se si vuole ottenere una confettura più rustica, per palati che amano i sapori decisi.
Storia sui metodi di conservazioneL’importanza di conservare i cibi è stata compresa sin dalla più remota preistoria, cioè sin da quando ci si accorse che carne, pesce, verdure o frutti si deterioravano e diventavanoinutilizzabili tanto più rapidamente quanto più alta era la temperatura circostante. La cottura,infatti, prolungava la durata dei prodotti, ma solo di un paio di giorni. Dunque, fin dall’antichità sono stati sviluppati sistemi atti a mantenere le vivande il più a lungo possibile, ed è evidente che le modalità di questo sviluppo sono dipese fortemente dalle condizioni geografiche e climatiche del territorio, e sono rimaste sostanzialmente invariate fino a quando la tecnologia ha sviluppato una serie di sistemi – dalla refrigerazione meccanizzata alla pastorizzazione, dalla liofilizzazione alla conservazione in ambiente protetto – che hanno reso il metodo di conservazione una scelta dettata dal gusto, più che una necessità.I metodi più antichi, quelli che non necessitano di alcun apporto tecnologico, sonol’essiccazione, l’affumicatura, la salatura, anch’essi noti, pare, sin dal tardo Paleolitico assieme ad una rudimentale refrigerazione in buche o grotte. A questi si sono aggiunti, col tempo, la conservazione sotto il grasso e quella per azione dell’alcol, dell’aceto, del miele o dello zucchero, o di una combinazione di questi ingredienti: si pensi alle marmellate, alle mostarde, ai chutney, alle verdure sottaceto o in agrodolce, e così via.Un approccio più “scientifico” fu introdotto nella seconda metà del Settecento, quando Nicolas Appert iniziò a sperimentare i procedimenti di sterilizzazione, facendo bollire i prodotti posti in contenitori inizialmente di vetro, poi di latta. Si scoprì in seguito che, oltre a mantenere i cibi più a lungo, questo processo elimina tossine pericolose come il botulino. Il suo effetto più immediato, tuttavia, fu quello di creare un nuovo, importante, settore produttivo, quello dei cibi in scatola. La prima industria di carne in scatola aprì a Chicago nel 1860, mentre in Italia fu il Piemonte ad aprire la strada: fu proprio a Torino, infatti, che nel 1875 Francesco Cirio iniziò la produzione di cibi in scatola. Assai diffusa era anche l’essiccazione, praticabile per azione del sole o del vento in condizioni di clima asciutto, dalle estreme propaggini settentrionali del continente europeo all’Africa sub-sahariana. Si pensi ai “festoni” di merluzzi o stoccafissi che campeggiano in tante immagini di paesaggi scandinavi, o anche alle distese di albicocche, fichi o pomodori messi a seccare sull’aia o sulla lobbia (il balcone) assolata delle cascine.Il passaggio dell’aria o l’esposizione al sole, favoriti dall’appendere i cibi (ad esempio ilpesce o la carne), o dal loro posizionamento su grate di vimini o reti, acceleravanol’evaporazione dei fluidi e quindi la disidratazione dei prodotti, bloccando l’azione degli enzimi e dei microrganismi che ne causano il deterioramento, ma possono sopravvivere e svilupparsi solo in presenza di acqua. Naturalmente, l’essiccazione deve avvenire in modo uniforme, dunque non deve essere troppo rapida, in quanto questo potrebbe determinare la disidratazione delle parti esterne, ma non di quelle interne; e non deve essere troppo lenta, perché altrimenti il deterioramento insorgerebbe prima del completamento dell’essiccazione. Il cibo, se correttamente essiccato, poteva mantenersi a lungo anche in condizioni climatiche sfavorevoli,e poiché l’essiccazione ne riduce drasticamente il peso e la massa, era facilmente trasportabile e costituiva una preziosa provvista. L’esempio più immediato è naturalmente il beef jerky, la carne secca dei pionieri americani, non troppo dissimile dal pemmican, la carne seccata, tritata e compressa degli Indiani d’America.Pratica forse altrettanto antica è l’affumicatura, un procedimento in cui il prodotto – soprattutto carne, pesce, selvaggina, pollame – viene esposto al fumo ottenuto dalla combustione senza fiamma di questa o quella varietà di legno, ciascuna delle quali conferisce al prodotto una diversa sfumatura del caratteristico aroma. L’affumicatura può essere a freddo (avviene cioè a temperature che non superano i 40°C circa), e in questo caso è di fatto un’essiccazione e aromatizzazione del prodotto. Oppure, può essere a caldo: le temperature possono raggiungere i 90°C, e quindi il prodotto, oltre che aromatizzato, è sottoposto a un processo di cottura.La salatura è invece un metodo in cui la disidratazione dell’alimento avviene per azione del sale, o di una salamoia, vale a dire una soluzione di acqua e sale, con l’eventuale aggiunta di aromi. La salatura non richiede particolari condizioni climatiche come abbondanza di sole o di vento, e può essere effettuata anche d’inverno, a patto naturalmente di poter disporre di abbondante materia prima, per l’appunto il sale. Era già ben nota ai Romani e ai “barbari”, le cui ricette per la conservazione delle cosce di suino si possono considerare precorritrici del prosciutto quale oggi lo conosciamo.Ma questo metodo di conservazione, come è noto, ha avuto grande importanza nell’evoluzione della cultura alimentare piemontese, oltre che nell’economia e nella storia di intere comunità. Il discorso risulterà più chiaro se da un livello generale il discorso si orienta sul caso specifico: le acciughe. Che, come tutti sanno, sono co-protagoniste, assieme all’aglio, della Bagna Cauda, il piatto-simbolo del Piemonte.Tutto nasce dal contrabbando del sale, per secoli un traffico tanto rischioso quanto redditizio per gli avventurosi passeurs che, stante il monopolio sul sale detenuto da Genova, eludevano dazi e gabellieri trasportandolo lungo le impervie "vie del sale" che solcavano le Alpi Marittime, in particolare le montagne del Cuneese. Valdieri, Vinadio, la Val Maira, Limone Piemonte, Dronero, sono solo alcune delle stazioni e destinazioni questo traffico. Uno degli stratagemmi più efficaci per nascondere il prezioso carico consisteva nel camuffarlo sotto le acciughe conservate, che a loro volta potevano essere vendute ai viandanti, ai pellegrini o a chiunque volesse procurarsi del cibo saporito, durevole ed economico. In epoca napoleonica, Genova perse il monopolio, ma le vie del sale non furono abbandonate, perché le acciughe salate erano ormai diventate protagoniste del non più illecito commercio. Molti contrabbandieri si trasformarono in acciugai, creando così non solo una tradizione, ma un’economia locale: con i loro carretti leggeri e robustissimi gli anciué furono per molto tempo figure tipiche nelle città ecampagne piemontesi, spostandosi di cascina in cascina, di mercato in mercato. Era unmestiere stagionale, il loro: terminati i principali lavori agricoli, gli acciugai lasciavano i campi per andare ad approvvigionarsi, inizialmente direttamente dai pescatori e successivamente presso i grossisti. Raggiungevano la Liguria ma anche luoghi più lontani, come la Sicilia e persino il Portogallo o la Grecia. Talvolta acquistavano la merce già pronta, altre volte si fermavano in loco da un anno all'altro per controllare direttamente i processi di salatura; in genere viaggiavano soli, ma talvolta erano seguiti dai figli adolescenti che così imparavano il mestiere,o anche dalle mogli.Di invenzione non molto posteriore rispetto alla salatura dovette essere la conservazione sotto grasso: dai rilievi e pitture di Pompei, ad esempio, si deduce che il grasso animale doveva essere impiegato nella conservazione di alimenti quali i formaggi. Successivamente, nel grasso sono stati conservati soprattutto carni e insaccati, come i salam ‘dla douja, o come i confit, che uniscono le tecniche della salatura e della copertura col grasso semisolido. Incidentalmente, dopo il consumo dell’alimento conservato anche il grasso era reimpiegato per le fritture o per altri usi domestici.Anche la conservazione di prodotti di origine vegetale ha sempre avuto un ruolo decisamente importante nell’economia domestica di territori che, come il Piemonte, dovevano affrontare inverni rigidi e improduttivi, e in cui quindi in cui la disponibilità di cibo conservato poteva influire in modo determinante sulla qualità della vita. Non solo perché le burnie (barattoli) di frutta sciroppata, di verdure variamente trattate, di conserve e marmellate diventavano un complemento gustoso al pranzo di Natale o alle occasioni speciali. Ma perché in alcuni casi i prodotti conservati diventavano indispensabili alla sopravvivenza. È il caso delle castagne, che storicamente hanno avuto, per le popolazioni delle zone alpine e prealpine che praticavano un’agricoltura di sussistenza, la medesima importanza che il mais e la polenta hanno rivestito per gli abitanti della “bassa”. Al punto che in molte zone il castagno era anche soprannominato l’”albero del pane”.Il metodo più comune per conservare le castagne era l’essiccazione, e a tal fine le borgatemontane disponevano di un essiccatoio comune, dove i frutti venivano lasciati per un paio di settimane su graticci e giornalmente rimosse, infilate in sacchi e battute per consentirel’asportazione delle bucce. Ricci, rami e foglie secche servivano da combustibile per il fuoco degli essiccatoi. Al termine di queste operazioni, si separavano le castagne rotte da quelle intere, parte delle quali era venduta. Le castagne essiccate – con questo, ma anche con altri metodi, a seconda delle zone e delle usanze locali - duravano a lungo, e si consumavano a poco a poco durante l’inverno. In genere venivano ammollate e poi lessate, e mangiate col latte, col burro, i salumi e il lardo, o erano l’ingrediente principale di zuppe e pietanze come la Vianda canavesana.Dalle castagne si ottiene anche farina, tradizionalmente prodotta con la molitura dei frutti in macine da talco. Ne risulta una farina finissima, quasi impalpabile, con la quale si realizzano preparazioni dolci e salate.
I prodotti sottovetro-sottovuotoPer prodotto sottovetro si intende qualsiasi alimento posto in vendita in appositi recipienti di vetro al fine di prolungarne il periodo di conservazione. Il sottovetro si può classificare in due grandi gruppi, quello dei salati e quello dei dolci. Un altro criterio di classificazione dei prodotti sottovetro può riguardare le modalità di conservazione mediante sostanze naturali, come olio, alcool etilico o bevanda spiritosa, sale, zucchero o liquidi di governo.

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