"Houston, abbiamo un problema. Maronna mia, se abbiamo un problema. Houston!! E rispondi, a' Houston!! Due occhi di ghiaccio si aprirono di scatto, come le bambole dei film dell'orrore che Beppino si ostinava a guardare anche se poi gli venivano le palpitazioni, ed incontrarono i suoi. "C'è un guaio, un guaio grosso assai e bisogna che troviamo una soluzione, Houston!" Lo sguardo di ghiaccio non si era spostato di un millimetro. Un accenno di increspatura dei sopraccigli aveva messo in evidenza una leggerissima ruga al centro della fronte. "Ah, ma allora sei vivo! E c'hai pure la ruga gabellare! La sorella di mia cognata, quella fissata con l'Oriente, diceva che quella era la ruga del terzo occhio, la ruga Yin."
Si allontanò per guardarlo un po' meglio."Houston, non è che sei Yin sul serio? Perché io sono tuttotutto Yang! Perlammordiddio non ho nulla contro gli Yin, ma sai com'è, qui l'astronave è piccola e l'equipaggio mormora." E chiuse facendo l'occhiolino, cercando una complicità che fosse anche approvazione. I due occhi di ghiaccio si alzarono dalla poltrona attrezzata per affrontare i lunghi e noiosi viaggi tra una galassia e l'altra e si palesarono in tutta la loro possanza. Beppino seguì con gli occhi, che fin da piccolo avevano con difficoltà trovato una certa simmetria, i muscoli guizzanti sotto la tuta aderente grigio antracite. "San Gennaro, ma questo non finisce più" si ritrovò a pensare mentre l'astronauta dagli occhi di ghiaccio, disteso in tutta la sua altezza, lo guardava fisso dall'alto, senza tradire alcuna emozione. "Заткнись!" tuonò improvvisamente Ustin. "Откуда ты?" "Non ti arrabbiare! Sono io, Beppino, quello della cucina." soffiò il povero omino, che nel rispondere si era fatto ancora più piccolo del suo metro e cinquanta. "Идеальный." replicò l'astronauta mentre digitava una sequenza numerica sul piccolo computer, che faceva anche da traduttore simultaneo, allacciato al polso destro. "Ora ricordo, sei l'italiano che faceva l'autostop sulla galassia Sombrero. Se non ricordo male non sopportavi più il cibo messicano."
Beppino si animò. Houston l'aveva riconosciuto anche se si erano parlati una volta sola, oddio parlati, aveva parlato solo lui e gli aveva fatto capire, senza tanti giri di parole, che la sua presenza non era affatto gradita all'interno dell'astronave. Era entrato con l'inganno nell'astronave, imitando gli autostoppisti che tanti secoli prima si spostavano sulla Terra, ed oramai non aveva neppure più senso espellerlo attraverso i tubi pirolitici, che polverizzavano, prima di eliminare dall'astronave, gli scarti della cucina. Per cui prima di rientrare ad Andromeda, e scendere dall'astronave, sarebbe stato molto saggio rispettare le regole alle quali era sottoposto tutto l'equipaggio: stare in silenzio e soprattutto stare molto, molto lontano da lui.
Ustin si mosse, una camminata elegante e felpata, come se avesse fatto ore di stretching invece di essere stato inchiodato mesi a quella poltrona, dirigendosi verso il quadro comandi. I monitor sottili come un capello gli rimandavano la visione di un buio animato da sciami di meteoriti arginati da scudi direzionali, da comete che si avvolgevano su sé stesse come riccioli capricciosi, dai colori cangianti di mille stelle e mille pianeti. Concentrato com'era nell'analisi silenziosa di milioni di chilometri di spazio che l'astronave stava percorrendo non si accorse che Beppino si era avvicinato lentamente, attratto, quasi ipnotizzato, da quelle immagini di mondi che sapeva esistevano ma che il destino non gli aveva consentito di conoscere.
Era nato sulla Terra poco prima del Grande Trasloco, quando oramai le risorse erano così scarse che non bastavano neppure all'elite che governava le terre di Pangea, le aree che ancora non erano state bruciate dalle tempeste solari, sempre più devastanti dopo che lo scudo di ozono si era arreso all'incoscienza umana. Le radiazioni avevano modificato il dna dei gameti utilizzati per il suo lotto, che avevano riprodotto degli individui imperfetti. Ma nel caos del trasloco la sua capsula incubatrice, che aveva oramai preso il posto dell'utero nella gestazione di nuovi esseri umani, era finita in un deposito e le pile a fissione avevano fatto il resto. Era diventato grande, oddio, grande, diciamo che era diventato uomo. Ma gli uomini come lui, difettati, potevano lavorare solo come maestranze di fatica in quegli ambienti in cui i robot si sarebbero potuti rovinare. Troppa umidità o troppa polvere. Beppino era finito a fare lo sguattero, nelle cucine delle astronavi e delle basi spaziali, a preparare ed incapsulare il cibo liofilizzato che gli altri umani assumevano per il sostentamento: un mix di proteine, sali minerali, acidi grassi essenziali, carboidrati di natura sintetica; soluzione adottata quando anche le alghe ogm e gli insetti non erano più bastati a nutrire il pianeta.
"Qual'è il problema?" La voce fredda di Ustin lo riportò alla realtà. "Ah si, Houston, qui la situazione è gravissima! La nave con i viveri durante il posizionamento è stata centrata dai detriti di quei zozzoni dei Vesuviani e si è sganciata. Il tubo per collegare il passavivande si è rotto e non ho più neppure un sedano sintetico per fare un pinzimonio di plastica! Voi dormite ed io qui mi devo levare le mani da torno, mi devo!" Forse aveva esagerato un po' la ma realtà era proprio quella: in cambusa non c'era più nemmeno l'ologramma di un panzerotto. Ustin guardò Beppino come se lo vedesse per la prima volta. I suoi arti così corti gli ricordavano i plantigradi bianchi e neri dei quali aveva letto nei libri di scienze, così impacciati e lenti, mentre lo sguardo nascondeva guizzi di luce che aveva tradotto come intelligenza vivace. Probabilmente sarebbe stato possibile trasferire le sue sinapsi in un corpo sintetico, giusto per non sprecare parte della sua conoscenza. Ma forse era meglio lasciar tutto come aveva deciso il sistema. "E quindi", lo apostrofò Ustin, "cosa proponi? Del resto l'equipaggio a causa dello scontro con i detriti si sta svegliando e fra un po' bisognerà provvedere al suo sostentamento."
"Un'idea ce l'avrei" sorrise malizioso Beppino, come se stesse già gustando il manicaretto che aveva in mente, un chiodo fisso di quando era appena uscito dall'incubatrice che era stata sistemata in una vecchia biblioteca: un piatto di pasta preparato con il pomodoro. Aveva visto la foto e subito di era innamorato di quell'attorcigliare morbido, di quel rosso vivo. Aveva strappato la pagina del libro dov'era riprodotta la leccornia e l'aveva sempre portata con sé. "Avrei bisogno di un forno a microonde, di un po' di platino e di una stampate 3D. Il resto degli ingredienti sono nell'armadietto dell'alveare" ovvero il luogo, una sequenza di piccoli loculi, dove gli umani addetti ai lavori più umili, si ritiravano per recuperare le forze. Davanti allo sguardo di Ustin, che ora non era più tanto sprezzante, prese forma un piatto di pasta al pomodoro e gli addetti alla stampante fecero il resto, come in una versione laica del miracolo dei pani e dei pesci. Mentre l'equipaggio imparava ad attorcigliare gli spaghetti con le dita e provava il piacere della masticazione Beppino non sentì più i dolori alle ossa che neppure l'assenza di gravità poteva lenire e si sentì l'uomo più grande della Via Lattea. Ustin si avvicinò e gli pose la mano perfetta sulla spalla sbilenca, stringendola con le dita disegnate dall'eugenetica. "Houston", fece Beppino, "te l'ho detto, vero, che io sono Yang".
Oggi ha cucinato Beppino, con quanto aveva nell'armadietto del suo loculo: una lattina di San Marzano, gli spaghetti di grano duro appena un po' modificati, i pomodorini gialli confit, le spezie dell'unico emporio della galassia di Sombrero, l'acqua di uno dei mari sotterranei di cui Marte è pieno e le foglioline Shiso prese in prestito dal laboratorio di botanica. Un forno a microonde e il gioco è fatto. Perché anche la fantasia può nutrire il pianeta. Spaghetti di grano duro al profumo di mare speziato con salsa di pomodoro e pomodorini gialli confit Ingredienti per un astronauta 80 g di spaghetti formato chitarra di semola di grano duro all'orzo "Ma'kaira" (che nel gioco di parole del produttore significa "beato") 1 lattina di pelati San Marzano 1 cucchiaio di pomodorini gialli confit 1 spicchio di aglio rosso di Nubia in camicia e schiacciato 1/2 cucchiaino di levistico 1 cucchiaio formato dal seguente mix aromatico: scorza di fava di cacao, cannella, liquirizia, zenzero, pepe nero, carruba, anice, peperoncino, zenzero, vaniglia in bacello, fava tonka, mix polverizzato ed inserito in un pezzettino di garza qualche fogliolina di Shiso purple cress la decorazione del piatto 1 limone di Sorrento, bio, solo le zeste acqua di mare Procedimento Con un mixer ad immersione frullare i San Marzano direttamente nella lattina, passare al colino e mettere da parte. Pesare gli spaghetti e pesare il doppio più un po' di acqua di mare, scaldarla appena con il mix di spezie profumate e piccanti, lasciando in infusione per 5'. Inserire in un contenitore adatto alla cottura a microonde la salsa di pomodoro, l'aglio e il livistico. Cuocere coperto a 850W per 1'. Aprire il contenitore, mescolare, eliminare l'aglio, distendere gli spaghetti, coprirli con l'acqua di mare speziata e cuocere coperto per 8' a 850W. Aprire il contenitore, mescolare, unire i pomodorini gialli confit e continuare la cottura per altri 4', aggiungendo, se necessario, un paio di cucchiai di acqua di mare. Aprire il contenitore, mescolare con una forchetta ed impiattare decorando con le foglioline, poche, di Shiso Purple e le zeste del limone. Se voleste unire un po' di ricotta salata, poca, o un po' di pecorino fate attenzione ad averne stampato in quantità sufficiente.