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Houston, la Mecca dei free agent

Creato il 30 maggio 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

La NBA, come sappiamo, è una Lega spietata. Non fa sconti a chi opera male, e chi sbaglia una trade, una scelta al Draft o un investimento, il più delle volte non ne esce indenne. Tanto spietata con chi sbaglia, tanto gratificante al tempo stesso con chi invece riesce a condurre in porto operazioni che con il tempo si rivelano dei veri e propri capolavori manageriali. Gli esempi da mettere sul tavolo non mancherebbero di certo sia da una parte che dall’altra. Appartengono alla seconda categoria, senza alcun dubbio, gli Houston Rockets, autori in quest’ultimo biennio di una serie di operazioni che rasentano la perfezione a livello tecnico e salariale.

Non tutte le squadre, infatti, hanno saputo reagire alla perdita della (o delle) loro Superstar come hanno fatto i Rockets dopo aver salutato ad inizio 2010 Tracy McGrady e Yao Ming. Per tre anni, dopo i loro addii, i Rockets non hanno disputato i playoff nonostante un record positivo e una squadra mai andata alla deriva che ha saputo rimanere a galla nonostante la perdita dei due punti di riferimento. Una situazione anomala nella NBA degli anni 2000, in cui i casi opposti sono all’ordine del giorno come dimostrano i T-Wolves post KG, i Cavs del dopo LeBron o i Magic post Howard. L’annata dei Rockets era iniziata in modo strano, in quanto si erano ottenute scelte alte al Draft e il conseguente addio a Scola e Dragic per creare spazio salariale nella speranza di attirare qualche importante free agent. Il problema è sorto nel momento in cui Howard ha firmato per i Lakers e Deron Williams per i Nets, lasciando così Houston apparentemente con un giovane gruppo ma ancora troppo debole per ambire alla post season. I power ranking di ottobre davano i Rockets fuori dai playoff, ma tre giorni prima dell’inizio della stagione arriva il colpo di scena e Houston mette sotto contratto James Harden.

Il resto è storia recentissima, i Razzi accedono ai playoff con l’ottava testa di serie, e vengono dignitosamente eliminati (4-2) da Oklahoma City, campione in carica della Western Conference. Come direbbe Ligabue però, il bello deve ancora venire. Dire che l’estate nella città della NASA si prospetta interessante è un eufemismo, in quanto i Rockets hanno la possibilità, e soprattutto l’appeal necessario per attirare i free agent in grado di fargli fare un ulteriore salto di qualità. I nomi a proposito non mancano, in primis Dwight Howard che ha lasciato intendere che esplorerà il mercato con un occhio di riguardo proprio alla franchigia texana, ma anche i vari Josh Smith, Al Jefferson, Monta Ellis e Brandon Jennings non sarebbero certo investimenti di minor caratura. Rimangono un mistero, le intenzioni di Chris Paul, che ad oggi non ha fatto sapere se intende ri-firmare con i Clippers o meno, e va da se che se la decisione è quella di traslocare, i Rockets entrerebbero di diritto nelle sue opzioni.

Houston è una sorta di Mecca per una SuperStar vogliosa di vincere perché oltre ai (tanti) soldi, offre la possibilità di giocare al fianco di James Harden, un 24enne con alle spalle un oro olimpico, una partecipazione alle Finali e già All-Star. Oltre a Barba, i Rockets si avvalgono anche di un supporting cast di ottimo livello composto dai vari Parsons, Thomas Robinson, Lin e Asik, giocatori giovani e con un futuro radioso davanti.

L’autore di questo capolavoro manageriale ha nome e cognome: il GM Daryl Morey. Collaboratore della STATS.Inc, Morey valuta i giocatori sulla base delle statistiche e, per quanto il metodo sia opinabile, fino ad oggi ha prodotto risultati tali che il proprietario Leslie Alexander ha deciso di prolungare il suo contratto di altri 4 anni. I meriti del GM, in carica dal 2007, sono sotto gli occhi di tutti (mai un record negativo sotto la sua gestione) ed è grazie a lui se Houston è oggi una delle franchigie con il futuro più luminoso dell’intera NBA.

Un’ultima ma importante considerazione che si può fare sui Rockets e sull’appeal che esercitano sulle Superstar è il fatto che si sono dimostrati una franchigia innovativa anche dal punto di vista del marketing, avendo con Yao prima e Lin adesso aperto le frontiere verso il mercato cinese e asiatico in generale. Una cosa importante, che a certi giocatori interessa tanto, se non di più, dei risultati sportivi.


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