Byōdō-in, Uji
Stavo andando al compleanno di Tomoko, e dentro di me c’era quell’aspettativa incosciente che a volte non si riesce a evitare, nonostante si sappia già che verrà disillusa. Com’era vuota, infatti, la sua piccola utilitaria bianca, pur con cinque persone a bordo.
Negli ultimi mesi mi è capitato di venire in contatto, forse per caso o forse per affinità inconscia, con persone in un modo o nell’altro legate a Kyoto e che hanno avuto di recente il cuore infranto. Anche loro sono passate attraverso una sfilza di fallimenti emotivi, e ascoltarsi a vicenda è facile, un po’ perché sembra di sentire una storia familiare, e un po’ perché se si è in due a provare le stesse cose ci si sente un po’ meno sole, o patetiche. Tutte sbuffiamo al pensiero di chi dice che dovremmo essere felici solo perché siamo in Giappone. Come se esistesse una Terra Promessa su questo mondo.
Gion matsuri
Però è il compleanno di Tomoko, e bisogna che tiri fuori il sorriso della festa e le trasmetta la gioia di essere insieme a lei e la gratitudine per quell’abbraccio pieno di affetto e preoccupazione. 大丈夫よ, va tutto bene. Manca qualcuno, ma va tutto bene. C’è una bimba adorabile che vince la timidezza e viene a giocare con me, mi insegna canzoncine e mi chiede di parlarle in inglese. C’è un signore che fa il lavoro del protagonista di Okuribito, e anche se a volte per questo è trattato con freddezza dalla gente non se ne cura. Ci sono tante persone che scherzano, ridono, e io riesco a capire le loro battute e anche se vengo da un altro lato del mondo mi sento parte di quella scena.
Sembra che abbia trovato un lavoro part-time, ma ve ne parlo un altro giorno.