Magazine Cultura
di Martin Scorsese
con Asa Butterfield, Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen
Avventura, 125 min., USA, 2011 Il cinema è memoria e magia. Questo sembra volerci dire Martin Scorsese con il suo Hugo Cabret, storia di un orfanello che aggiusta gli orologi della stazione di Parigi e che ha un unico sogno: risvegliare l’uomo robot che suo padre stava riparando appena prima di morire. Tra una fuga dal vigilante che lo vuole rinchiudere in un orfanotrofio e i ricordi del padre, passando per l’attenta osservazione della fauna che popola l’ecosistema della Gare de Lyon, Hugo entra in contatto con un misterioso uomo di mezza età che vende giocattoli. Quest’uomo si scoprirà poi essere nientemeno che il regista George Méliès.Prendendo spunto da un’opera letteraria, Scorsese ha creato un film che vuole essere un omaggio al cinema e ad uno dei suoi padri fondatori. (Se i fratelli Lumiere hanno inventato la cinepresa, Méliès è stato tra i primi a credere nelle capacità del mezzo avendo anche il coraggio di innovare. Basti pensare che ad oggi viene considerato il padre degli effetti speciali, di certa punteggiatura cinematografica e del cinema a colori). Ne esce un film che, attraverso un buon 3D, cerca di emulare la magia delle pellicole del grande cineasta d’inizio secolo. Questo sforzo, unitamente alla ricostruzione per immagini della vita del maestro francese e ai costumi, impreziosisce di molto una narrazione a tratti sconfinante nel già visto che cerca di fare leva su una classica galleria di personaggi di sicuro impatto emotivo (l’orfano, il genio caduto ingiustamente in miseria, le accennate storielle d’amore) che riescono a smuovere emozioni nello spettatore ma che talvolta scadono nel retorico.
In ultima analisi il film è indubbiamente gradevole, ma se non fosse per l’interessante riferimento alla vicenda biografica di Méliès non sarebbe neanche degno di menzione. 11 nomination sono tante. 5 oscar sono troppi.Voto: 6,5 su 5
(Film visionato l’8 febbraio 2012)
P.s. Non sono più così sicuro che basti la maestria tecnica per fare dei buoni film. Avatar, in questo senso, insegna. Direte voi: “Tutto è già stato scritto e tutto è già stato detto” pertanto solo le innovazioni tecniche possono innovare. Io vi rispondo affermando che Méliès rischiò di cadere nel dimenticatoio proprio perché puntava molto (forse troppo) sulla tecnica.
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