Il 5 marzo è morto Hugo Chavez.
Dopo una lunga malattia, che lo aveva colpito nel giugno 2011, e che, a più riprese, sembrava essere riuscito a superare, Chavez non è riuscito nel miracolo che, ancora oggi, permette al suo amico e sodale politico, Fidel Castro, di sopravvivere.
Folle immense sono accorse a salutare un uomo che ha fatto molto per il Venezuela e per l’America Latina.
Caracas si è fermata per rendere omaggio a Chavez, l’ex colonnello dei parà che dal 1999, il suo primo anno di governo, ha superato ben 15 prove elettorali su 16.
Un leader politico in grado di governare per lungo tempo un paese, spesso preda di convulsi colpi di stato, riuscendovi con procedure democratiche trasparenti e regolari, come certificato più volte da diversi osservatori esterni, ad esempio il Carter Center, dell’ex inquilino della Casa Bianca.
Del resto, come ha ricordato Gianni Vattimo su La Stampa del 7 febbraio scorso, checché ne dicano quei media che hanno sempre descritto il Venezuela come un paese in cui qualunque posizione politica contraria all’ex militare è stata regolarmente soffocata, chi arrivi a Caracas e domandi quali quotidiani leggere, si accorge che giornali e televisioni sono tutti, salvo la rete di stato, anti-Chavez.
Un presidente che, grazie agli ingenti proventi dell’esportazione di oro nero, di cui il sottosuolo venezuelano è ricchissimo (le riserve accertate sono superiori a quelle dell’Arabia Saudita), ha avviato vasti programmi sociali, le cd. misiones, volte a lottare contro l’analfabetismo, la povertà e per garantire ai più poveri cure mediche gratuite di notevole livello.
Per comprendere quanto questi programmi siano riusciti a fare la differenza basta riportare poche semplici cifre.
Secondo la Commissione Economica per l’America Latina, tra il 2002 e il 2010, la povertà estrema in Venezuela si è ridotta dal 48,6% al 27,8%.
Non solo, l’indice di Gini, l’indicatore della disuguaglianza di reddito, durante gli anni della presidenza di Chavez, è diminuito costantemente: il valore attuale pari a 0,39 fa del Venezuela il Paese meno diseguale del continente sudamericano.
Il dolore dei venezuelani poveri per la morte del presidente e il loro omaggio ininterrotto alla sua bara è una testimonianza autentica di quanto abbiano beneficiato in questi anni dei suoi programmi sociali e le loro lacrime sembrano chiedere: “E ora? Chi penserà a noi?”
Hugo Chavez è stato anche uno dei più importanti esponenti politici della lotta all’ideologia neoliberale, le cui radici affondano nel pensiero di Friederick Von Hayek e nelle scelte politiche di epigoni come Margaret Thatcher o Ronald Reagan, secondo cui solo attraverso un costante incremento delle risorse per le classi più abbienti e, una parallela riduzione del ruolo dello stato, è possibile lo sviluppo economico e il progresso di tutti, grazie al meccanismo della trickle down economics, lo “sgocciolamento” della ricchezza dai più ricchi ai più poveri.
Un pensiero nefasto che a livello internazionale si è tradotto nel “Washington Consensus”, un orientamento politico-economico imposto dagli Stati Uniti e da nazioni similari, volto a obbligare gli stati al pareggio di bilancio, alla riduzione delle risorse dello stato e al taglio dei programmi sociali per i più poveri.
Con le sue scelte a favore dei più deboli, Chavez ha dimostrato che è possibile contrapporsi a simili ideologie distruttive, riuscendo a diffondere le sue idee rivoluzionarie e controcorrente anche in altre nazioni sudamericane, dalla Bolivia di Evo Morales, all’Ecuador di Rafael Correa e all’Argentina di Nestor Kirchner e poi di Christina Fernadez.
Non solo, Chavez ha compiuto anche importanti passi avanti in direzione di un rafforzamento della cooperazione e dell’integrazione politico-economica tra tutte le nazioni del continente sudamericano.
Il suo obiettivo era di affrancare il cono sud dell’emisfero occidentale dal lungo e spesso nocivo predominio statunitense.
Anche grazie a Hugo Chavez, oggi il Sudamerica non è più il “cortile di casa” di Washington e può permettere a giganti come il Brasile di ricoprire un ruolo globale sulla scena politica internazionale.
Molti sono stati quelli che hanno festeggiato la morte di Chavez, dai ricchi borghesi di Caracas, che avevano subito i programmi sociali chavisti a favore di chi aveva meno, alle potenti multinazionali dell’energia, costrette a vedere ridimensionati i proventi dell’estrazione del petrolio venezuelano, in nome di una maggiore indipendenza del paese dal grande capitale internazionale.
Avrà gioito anche chi vorrebbe un Sudamerica meno autonomo dagli Usa o dalle nazioni che ne hanno sempre sfruttato le ricchezze in modo indiscriminato e sempre indifferenti al destino delle masse più povere, come insegna Eduardo Galeano.
Non avranno versato una lacrima anche quelli che hanno sempre disprezzato Hugo Chavez come un “negraccio”, incapace di concepire sogni di indipendenza alla Simon Bolivar o non adatto a gettare le basi per una alleanza sud-sud tra le nazioni più marginali per contrastare lo strapotere delle grandi potenze egemoni della scena internazionale.
Eppure, l’ex colonnello, pur tra difficoltà, errori e limiti di varia natura, è riuscito a fare molto per il progresso della sua nazione e del continento latinoamericano e a favore di un mondo più equo e più multipolare.
Add a comment