Il precedente film di Steve McQueen dimostra, per quanto sia strano parlare della sua poetica, mediante un percorso a ritroso nel suo cinema, per ora limitato a sole due opere, come egli senta la necessità e l'urgenza di lavorare sul corpo attoriale, in questo caso dell'attore feticcio Fassbender. Eppure in questo suo primo film, forse più potente visivamente di Shame, elabora una vicenda culturalmente e politicamente da noi distante, risucendo a rendercela vicina ed universale, grazie ad una messa in scena pregevole.Hunger è un film al limite della parola e della sua rarefazione, che lavora sapientemente e quasi oleograficamente sull'immagine e sui silenzi, scegliendo punti di vista e dettagli che denotano una cura pittorica per gli elementi che compongono il quadro di ogni scena, come il vortice qui rappresentato dalla locandina che racchiude il senso della lotta e della deprivazione dei corpi in esso rappresentati e che troverà il suo culmine nella scarnificazione del suo feticcio attoriale.Emblematico appare il piano sequenza centrale con cui Fassbender prende la parola per tutto il tempo necessario per introdurci alla sua scelta estrema e al confronto con il prete cattolico suo connazionale, che non si contrappone banalmente al prigioniero frapponendogli una posizione di stampo religioso, ma puntando sulla politica e sull'etica del suo gesto, poiché l'etica non per forza deve e può coincidere con la religione. Momento topico appunto, di grande intensità come tutto il film, che riesce a trasmettere e comunicare la tensione di una lotta serrata di privazioni e abusi, intervallati dalla voce originale fuori campo della Tatcher.McQueen, infine, rielabora e riassume aspetti del freecinema, citando esplicitamente La solitudine del maratoneta e l'astinenza praticata da Fassbender si pone sullo stesso piano della mancata volontaria vittoria del maratoneta e dimostra come un cinema apparentemente politico, possa anche non esserlo, o almeno non così esplicitamente, optando per una narrazione quasi prevalentemente visiva e astraente, che riesce comunque a colpire lo spettatore e a farlo riflettere, aspetti che il nostro cinema sembra non essere in grado di cogliere appieno.Magazine Cinema
Il precedente film di Steve McQueen dimostra, per quanto sia strano parlare della sua poetica, mediante un percorso a ritroso nel suo cinema, per ora limitato a sole due opere, come egli senta la necessità e l'urgenza di lavorare sul corpo attoriale, in questo caso dell'attore feticcio Fassbender. Eppure in questo suo primo film, forse più potente visivamente di Shame, elabora una vicenda culturalmente e politicamente da noi distante, risucendo a rendercela vicina ed universale, grazie ad una messa in scena pregevole.Hunger è un film al limite della parola e della sua rarefazione, che lavora sapientemente e quasi oleograficamente sull'immagine e sui silenzi, scegliendo punti di vista e dettagli che denotano una cura pittorica per gli elementi che compongono il quadro di ogni scena, come il vortice qui rappresentato dalla locandina che racchiude il senso della lotta e della deprivazione dei corpi in esso rappresentati e che troverà il suo culmine nella scarnificazione del suo feticcio attoriale.Emblematico appare il piano sequenza centrale con cui Fassbender prende la parola per tutto il tempo necessario per introdurci alla sua scelta estrema e al confronto con il prete cattolico suo connazionale, che non si contrappone banalmente al prigioniero frapponendogli una posizione di stampo religioso, ma puntando sulla politica e sull'etica del suo gesto, poiché l'etica non per forza deve e può coincidere con la religione. Momento topico appunto, di grande intensità come tutto il film, che riesce a trasmettere e comunicare la tensione di una lotta serrata di privazioni e abusi, intervallati dalla voce originale fuori campo della Tatcher.McQueen, infine, rielabora e riassume aspetti del freecinema, citando esplicitamente La solitudine del maratoneta e l'astinenza praticata da Fassbender si pone sullo stesso piano della mancata volontaria vittoria del maratoneta e dimostra come un cinema apparentemente politico, possa anche non esserlo, o almeno non così esplicitamente, optando per una narrazione quasi prevalentemente visiva e astraente, che riesce comunque a colpire lo spettatore e a farlo riflettere, aspetti che il nostro cinema sembra non essere in grado di cogliere appieno.Possono interessarti anche questi articoli :
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