Si stenta a credere che sia un film italiano, questo Hungry Hearts, per via dei suoi toni così nordeuropei che rimandano, a tratti, al più datato Roman Polanski (un paio di volte volte mi è pure venuto da pensare che il film fosse un what if di Rosemary's Baby, ma lasciate perdere i miei voli pindarici). La trama è di una semplicità quasi imbarazzante: Jude e Mina si incontrano, si piacciono, si sposano, hanno un bambino e, assieme ad esso, nascono di conseguenza delle divergenze sulla crescita e la nutrizione del neonato. Lei è vegana, ma di quelle convinte, assolutiste e autoritarie, quasi dittatori che impongono il loro dogma a chi sta loro intorno. Tuttavia Saverio Costanzo, pur prendendo una posizione dichiarata e netta nei confronti di questa scelta di vita, non la accusa direttamente, aggira anzi in maniera intelligente l'ostacolo decidendo di dare ad un medico le parole più adeguate per esprimere il concetto chiave: Non c'è niente di male, ma che cosa mangia il bambino? Con queste parole Costanzo sottolinea che il problema non è la nutrizione o una scelta decisa di vita, ma l'assolutismo e il bigottismo che porta certe persone a fare della propria alimentazione quasi una fede (non a caso Adam Driver si fermerà in una Chiesa per nutrire di nascosto il bambino con del prosciutto), escludendosi da un mondo che, riprendendo le parole del protagonista, è sopravvissuto comunque per molti anni senza chiudersi sotto una campana di vetro per paura di ogni piccola onda elettromagnetica. Costanzo rappresenta, tra l'altro, magnificamente la suddetta campana, giocando con ottiche e cambi di fuoco in maniera eccelsa, straniando lo spettatore e rendendolo partecipe della narrazione e delle sensazioni del protagonista trasformando a suo piacimento gli spazi angusti all'interno dei quali cresce questa contorta e preoccupante storia d'amore e di maternità, una maternità che necessariamente obbliga la madre a seguire incondizionatamente il suo cuore, convinta che qualunque cosa faccia sia per il bene del bambino. Non sto parlando solo di Alba Rohrwacher, ma anche di Roberta Maxwell, la quale alla fine del film si lascerà andare all'amore materno seguendo quella che per lei è l'unica strada possibile per il bene di suo figlio, dimostrando quanto l'amore materno possa comportare scelte drastiche ed eticamente sbagliate, e anche come non sia mai possibile che il proprio punto di vista sia quello giusto. Disperati e bisognosi d'aiuto, i personaggi di questo film vengono lasciati alla deriva, in balia di loro stessi, da un mondo che non ha a cuore i bisogni primari delle persone che lo compongono, le quali necessitano solo di un po' di sostegno, siano essi dei padri che devono lottare contro la forza autoritaria imposta dalla donna oppure madri rinchiuse nell'oblio delle loro convinzioni. Costanzo mette in scena questo e molto altro, in un film dai toni opprimenti, malsani e anche un po' thriller, che deve sicuramente essere visto più volte per poter essere assimilato appieno.
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Si stenta a credere che sia un film italiano, questo Hungry Hearts, per via dei suoi toni così nordeuropei che rimandano, a tratti, al più datato Roman Polanski (un paio di volte volte mi è pure venuto da pensare che il film fosse un what if di Rosemary's Baby, ma lasciate perdere i miei voli pindarici). La trama è di una semplicità quasi imbarazzante: Jude e Mina si incontrano, si piacciono, si sposano, hanno un bambino e, assieme ad esso, nascono di conseguenza delle divergenze sulla crescita e la nutrizione del neonato. Lei è vegana, ma di quelle convinte, assolutiste e autoritarie, quasi dittatori che impongono il loro dogma a chi sta loro intorno. Tuttavia Saverio Costanzo, pur prendendo una posizione dichiarata e netta nei confronti di questa scelta di vita, non la accusa direttamente, aggira anzi in maniera intelligente l'ostacolo decidendo di dare ad un medico le parole più adeguate per esprimere il concetto chiave: Non c'è niente di male, ma che cosa mangia il bambino? Con queste parole Costanzo sottolinea che il problema non è la nutrizione o una scelta decisa di vita, ma l'assolutismo e il bigottismo che porta certe persone a fare della propria alimentazione quasi una fede (non a caso Adam Driver si fermerà in una Chiesa per nutrire di nascosto il bambino con del prosciutto), escludendosi da un mondo che, riprendendo le parole del protagonista, è sopravvissuto comunque per molti anni senza chiudersi sotto una campana di vetro per paura di ogni piccola onda elettromagnetica. Costanzo rappresenta, tra l'altro, magnificamente la suddetta campana, giocando con ottiche e cambi di fuoco in maniera eccelsa, straniando lo spettatore e rendendolo partecipe della narrazione e delle sensazioni del protagonista trasformando a suo piacimento gli spazi angusti all'interno dei quali cresce questa contorta e preoccupante storia d'amore e di maternità, una maternità che necessariamente obbliga la madre a seguire incondizionatamente il suo cuore, convinta che qualunque cosa faccia sia per il bene del bambino. Non sto parlando solo di Alba Rohrwacher, ma anche di Roberta Maxwell, la quale alla fine del film si lascerà andare all'amore materno seguendo quella che per lei è l'unica strada possibile per il bene di suo figlio, dimostrando quanto l'amore materno possa comportare scelte drastiche ed eticamente sbagliate, e anche come non sia mai possibile che il proprio punto di vista sia quello giusto. Disperati e bisognosi d'aiuto, i personaggi di questo film vengono lasciati alla deriva, in balia di loro stessi, da un mondo che non ha a cuore i bisogni primari delle persone che lo compongono, le quali necessitano solo di un po' di sostegno, siano essi dei padri che devono lottare contro la forza autoritaria imposta dalla donna oppure madri rinchiuse nell'oblio delle loro convinzioni. Costanzo mette in scena questo e molto altro, in un film dai toni opprimenti, malsani e anche un po' thriller, che deve sicuramente essere visto più volte per poter essere assimilato appieno.
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