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La trama (con parole mie): Rubin "Hurricane" Carter è uno dei più promettenti campioni della categoria dei pesi medi che il pugilato statunitense abbia mai avuto, ed è all'apice della sua carriera. Siamo nel 1966.
Una notte, a seguito di circostanze non chiare legate a testimonianze dubbie ed un intervento della polizia legato più a pregiudizi razziali che all'effettiva ricostruzione dei fatti, il pugile viene arrestato mentre è in compagnia di un amico per essere accusato di un triplice omicidio avvenuto in un locale del New Jersey: a Rubin Carter vengono dunque assegnati tre ergastoli.
Ma il combattente non molla, e la sua lotta per la libertà e la giustizia proseguiranno per più di vent'anni, fino a quando un giovane studente deciderà di smuovere la rassegnazione dell'uomo fino a indurlo a ricorrere alla Corte Suprema aggirando i tribunali di Stato.
Nell'ambito del Cinema "pugilistico" sono davvero poche le pellicole che, tendenzialmente, mi perdo, un pò per il vecchio legame con questo sport controverso, violento eppure da sempre ribattezzato "la nobile arte" che dai tempi degli antichi greci ha appassionato l'uomo passando attraverso figure mitiche come quella di Lord Byron per finire sul grande schermo raccontando le gesta dei suoi campioni più importanti, un pò per il ricordo che, fin da bambino, ho delle imprese del personaggio più importante della filmografia di Sly, il sempre mitico Rocky: eppure Hurricane mancava ancora all'appello, complice una pessima distribuzione italiana che ancora non ha previsto un'edizione in dvd di questo solido titolo sorretto da un maiuscolo Denzel Washington, uno dei più importanti - se non il più importante - attore afro-americano della sua generazione, un pò come fu per un'altra pellicola a tematica sportiva e carceraria che ho sempre apprezzato, He got game di Spike Lee.
Certo, a fronte di una vicenda come quella di Rubin Carter la classica retorica positiva del made in Usa tende sempre a farsi sentire, eppure - se ben sfruttata, come in questo caso - non pesa mai sulla resa complessiva del lavoro di Jewison, che ricorda più un legal thriller nello stile de L'uomo della pioggia che non un film a tematica esclusivamente sportiva.
La storia di Hurricane, in effetti, più che associata al quadrato e alla boxe pare stretta come in un clinch sul ring alla lotta per i diritti, l'uguaglianza razziale e la Giustizia, in un percorso che ha portato quello che era un selvaggio interprete di questa disciplina al centro di un combattimento giocato su livelli decisamente più "alti" di quelli offerti dagli scambi di due uomini che si prendono a cazzotti, che nei decenni che lo videro imprigionato coinvolse personalità di spicco anche del mondo dello spettacolo - Bob Dylan e Ellen Burstyn su tutti - in una battaglia che aveva come scopo la scarcerazione di quella che è stata, a tutti gli effetti, una vittima illustre di una serie di abusi di potere purtroppo ricorrenti nella storia - soprattutto del periodo - degli States.
Procedendo su un modello che strizza l'occhio al Toro scatenato di Scorsese - partenza giocata su binari temporali differenti, risoluzione che tende a riallacciare progressivamente tutte le linee di narrazione aperte - e che fa riferimento a pellicole "dietro le sbarre" come Le ali della libertà e Il miglio verde - anche se nel caso di quest'ultimo l'anno di uscita in sala è lo stesso, le analogie risultano davvero molte per tematiche ed approccio - la pellicola non fa pesare affatto la sua decisamente importante durata, andando a stimolare curiosità e riflessioni anche nello spettatore assolutamente ignaro della vicenda umana di Hurricane, un vero e proprio lottatore riportato alla volontà della vittoria e agli "occhi della tigre" dalle speranze di un giovane che, al contrario di lui, trovò nell'appoggio dei bianchi un'occasione altrimenti negata da condizioni sociali e di nascita precarie.
Anche in questo senso, e nel lento costruirsi del rapporto tra Carter ed i tutori dell'ispiratore del suo decisivo ritorno nel match in cui si sarebbe giocato la libertà, questa pellicola assume un'importanza decisamente più netta rispetto a quella che si sarebbe disposti a concedere ad un blockbuster d'autore costruito in tutto e per tutto secondo lo stile del self made e del never give up tutto a stelle e strisce.
Rispetto alla pellicola di Spike Lee citata poco sopra, infatti, Hurricane risulta un film votato alla ricerca di un dialogo e di una verità, certamente meno arrabbiato rispetto ai lavori dell'autore di Fa la cosa giusta eppure ugualmente efficace: l'energia non è ovviamente la stessa, eppure il risultato pare essere stato raggiunto, sia dal punto di vista biografico che rispetto all'importanza anche storica avuta dalla lunga attesa di Carter prima della conquista dell'agognata - e sacrosanta - libertà dopo ventidue anni di carcere a seguito di un'accusa ingiustificata, motivata dalla fretta di trovare un vero e proprio capro espiatorio.
Certo, la figura del poliziotto/nemesi interpretato da Dan Hedaya non sempre funziona, eppure resta in linea con lo spirito di un film che va avanti per la sua strada quanto il grande protagonista di cui racconta la vicenda umana, un vero e proprio lottatore che ha saputo proseguire e portare avanti la causa divenuta il suo motivo di vivere per poter tornare a respirare la nostra stessa aria, quella di cui aveva diritto, e che continuerà a fargli pensare a quanto dev'essere bello essere "Hurricane".
Che abbia mai vinto un titolo, oppure no.
Perchè riuscire ad incassare non significa necessariamente non saper alzare la testa e dare al nostro avversario quello che si merita: un uragano di cazzotti.
Siano essi fisici, morali o assolutamente, clamorosamente "sociali".
MrFord
"Here comes the story of the Hurricane
the man the authorities came to blame
for something that he never done
put him in a prison cell but one time he could-a been
the champion of the world."
Bob Dylan - "Hurricane" -
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