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Siamo nella Londra vittoriana, nell'ultima decade del 1800, e tra gli studi dei medici più illustri si preannuncia una vera e propria rivoluzione in campo medico, e non solo. Un'innovazione che allora, nella patria del Puritanesimo, non venne certo compresa al volo, anzi. Eppure, quella "vibrante" scoperta, avrebbe cambiato definitivamente la vita di molte donne.
Mortimer Granville/Hugh Dancy è un giovane medico dalle lunghe vedute, uno che non si adatta affatto ai metodi tradizionali e obsoleti della vecchia medicina. Così, dopo vari licenziamenti, si ritrova nel prestigioso studio del Dr. Dalrymple/Jonathan Pryce. Qui, il giovane, apprenderà le nozioni e le pratiche utili ad alleviare le pene, provocate da quello che fu considerato il male del secolo: l'isteria.
Ed è questo il titolo del film diretto da Tanya Wexler, uscito nelle sale inglesi nel 2011, Hysteria. Una commedia già in partenza piccante e irriverente, poiché affronta e cerca di narrare l'approccio a un oggetto completamente impensabile prima di allora, eppure, nella sua grottesca essenza, tanto rivoluzionario. La Wexler si serve di un cast all'altezza, e potrebbe bastare il nome di Rupert Everett, uno dei migliori rappresentanti contemporanei, della comicità inglese. Non è che si dica tanto per dire, perché Everett lo abbiamo visto in commedie deliziose, mi vengono in mente un paio di titoli firmati Oliver Parker, Un marito ideale e L'importanza di chiamarsi Ernest (questo, ancora oggi, è uno dei miei film antidepressivi per eccellenza). Insomma, parliamo di quegli aspetti che in un film, spesso, fanno la differenza. Ma, c'è un ma insormontabile di fronte a questo Hysteria. Il problema di questi titoli che presentano fin dal principio, una trama e un'idea originalissime, è che corrono il grosso rischio di deludere le aspettative generali.
Si guarda Hysteria e nel complesso, ci si diverte e non si fatica certo ad arrivare fino alla fine del film. Si lascia guardare perché tutto sommato le situazioni grottesche ci sono e sono godibili. Fa sorridere oggi, col senno di poi, immaginare questo dottore con lo studio pieno zeppo di donne, ad attendere (e pretendere) quel miracoloso massaggio praticato "proprio lì". Una procedura a tutti gli effetti medica, che richiedeva talvolta anche più di un'ora. Ecco perché fa morire l'espressione del giovane Dancy e la sua mano indolenzita. E tutte quelle donne in sala d'aspetto, sì, fa ridere ma al tempo stesso si riflette su quella che era la vita della donna in un periodo in cui, ogni malessere, era sintomo di isteria e la donna altro non era che un fantoccio da sbattere in manicomio. E lì, quasi sempre, si provvedeva ad esportare l'utero alle povere malcapitate (isterectomia), perché ritenute pazze. Il personaggio di Maggie Gyllenhaal è significativo in questo senso. Una donna dagli impulsi socialisti e femministi, attiva per aiutare chi aveva veramente bisogno di assistenza medica e non solo. Forse ciò che dispiace di più, pensando a cosa non va del film, è proprio questa poca attenzione rivolta ai personaggi. Anche la Gyllenhaal, una che io non tollero quasi mai, qui sembrava aver trovato un po' di vita e un preciso scopo artistico, ma non si va mai a fondo, si rimane in superficie. Non ha osato quanto avrebbe dovuto, probabilmente, la Wexler. Stessa cosa vale per i personaggi più di contorno, uno su tutti l'inventore Edmund di Everett. Alla fine il suo spolverino elettrico con tanto di piume, aprirà la strada a quello strano oggetto rivoluzionario, chiamato poi, vibratore.
I protagonisti di questa vicenda grottesca e vittoriana, vengono solo accennati, ed è un vero peccato. Un finale prevedibile, povero di quel briciolo di pathos che potrebbe fare la differenza. Probabilmente chi si aspetta poco qui, non soffre nemmeno per questo. Ma l'inevitabile è tale per chiunque, per chi aspetta e chi no. Io concludo con una domanda e poi vi lascio: ma Rupert Everett, che fine ha fatto? Dov'è l'attore che adoravo, quello che sognavo come il mio migliore amico gay che mi cantava I say a little prayer per tirarmi su il morale? Beh, io dico che non c'è più.
Un maledetto bisturi, se lo è portato via...e io caro Rupert, non ti perdonerò mai per questo.
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