Con questa storia della laurea ad ogni costo, al problema della disoccupazione si aggiunge il problema della mediocrità (e della convivenza di entrambe le cose). Non sarebbe il caso di rendere le cose un po’ più semplici e chiare agli studenti che devono decidere della propria vita?
di aldopalmisano
Oggi vorrei parlare di università e di lavoro, due cose che riguardano la maggiorparte dei lettori di Failcaffè.
In italia (e forse in tutto il mondo) il problema dell’istruzione è prima di tutto correlato con la possibilità di trovare un lavoro alla fine degli studi; l’università non solo è considerata come lo strumento formativo per eccellenza, ma come il principale produttore di figure altamente specializzate, che permettano alla comunità di progredire (più) tecnologicamente e (meno) intellettualmente. Ne deriva uno stretto legame fra individualità e comunità.
Come sta l’Italia a riguardo? Lo potremmo subito capire da una frase pronunciata da Edoardo Barbieri:
“Gli Italiani fanno fatica a leggere. Questo spiega il nostro mancato sviluppo. Non importa su quale device si legge: conta la qualità dei testi.”
Ciò non basta, quando a Giuseppe De Rita si fa notare, durante una intervista (L’Europeo n.5/2013), come la percentuale di laureati italiani sia di tredici punti più bassa rispetto a quella europea (15% contro 28%), lui puntualizza che
“In più ci si laurea ancora in lettere; gran parte degli studenti ha tentato la laurea facile [...] ossia da dove vegono i 3 milioni o più di precari? vengono da lì. Sono ragazzi diplomati, qualche volta laureati che hanno fatto un percorso di formazione non professionalizzante e che alla fine si ritrovano a spasso. Ha presente quante gente frequenta comunicazioni di massa? Tutti candidati alla disoccupazione“
Vorrei commentare questo ragionamento alla luce dei miei quattro anni di studio e delle convinzioni che ho maturato durante essi:
Tutto è cultura. Ognuno ha il diritto di studiare quello che più lo appassiona indifferentemente dalla facoltà e dalla prospettiva di lavoro. Dedicandosi a qualcosa che ci piace naturalmente, l’apprendimento è facilitato poichè non c’è il bisogno di dividere il dovere dal piacere.
Lo so che tutto ciò può sembrare banale ma che io sappia mai nessun grande uomo, che sia stato un grande musicista piuttosto che un famoso matematico, ha eccelso nei suoi lavori senza esservi profondamente appassionato. Pensateci: se qualcuno di noi ha scelto il corso di laurea giocando per esclusione, difficilmente si sta dedicando a quelle cose anche nel tempo libero, insomma è già destinato alla mediocrità nel suo lavoro, e già il fatto che lo deve chiamare “lavoro” fa pensare…
Nel frattempo è sotto i nostri occhi il processo di svalutazione dei titoli di studio, processo che Ken Robinson chiama inflazione accademica: dove prima serviva il diploma ora serve la laurea, dove prima serviva la laurea ora serve il dottorato. Questo perchè, è banale dirlo, se tutti assumessero ruoli dirigenziali non ci sarebbe nessuno ad eseguire mansioni da impiegato! Allora, tanto più ora che la laurea non assicura la prospettiva di lavoro desiderata, se bisogna essere disoccupati (o maloccupati) vale la pena studiare quello che ci piace e sudare sette camicie per qualcosa in cui davvero crediamo.
Ognuno ha il dovere di informarsi sulle effettive possibilità d’impiego che coinvolgono le facoltà scelte. Se è vero che gli argomenti a cui si può appassionare una persona sono infiniti, è anche vero che le facoltà da cui è necessario partire prima di addentrarsi nell’argomento non supereranno le due dozzine! E pensare che siamo arrivati ad avere nel nostro sistema universitario, qualcosa come 3600 corsi di laurea.
E’ sempre il sociologo De Rita a sostenere che corsi come quello di comunicazioni di massa sono i figli malriusciti della riforma 3+2, quella che ha delegato a ciascun ateneo l’istituzione dei corsi di laurea a discrezione “della furbizia dei professori e con il tentativo di captare l’interesse delle famiglie”, le stesse famiglie che spingono i propri figli verso l’istruzione universitaria quale che essa sia purchè possa conferire una laurea, condizione necessaria per elevare il proprio status sociale.
In sostanza si è capito che bisogna concentrarsi sulle attitudini che ciascuno di noi presenta individualmente e non su quelle che è necessario fargli sviluppare, perchè non funziona. Ora però, ci si chiede qual’è il modo migliore per stimolare e coltivare queste capacità e quindi rivoluzionare il sistema scolastico, ne riparleremo a breve su queste pagine. Nel frattempo mi farebbe piacere sapere voi cosa ne pensate.