All'epoca del grande disboscamento la Val grande era frequentata da una variopinta struttura umana.
Il taglio del legname fece nascere altri lavori per lo sfruttamento dei residui inutilizzati.
L'innovazione veniva rappresentata dalle carbonaie (carbuner) che utilizzavano gli scarti del legname. Il carbonaio si occupava di costruire una grande pila di legna che poteva raggiungere i 3 metri di altezza ed i 6 di larghezza. Per cercare di renderla impermeabile veniva ricoperta di stramaglie. Costruita ed impermeabilizzata veniva accesa con immissione di palate di fuoco vivo. Il compito di curare la cottura era del carbonaio.
Solitario.
Schivo.
Quasi primordiale.
Spesso abbandonato dagli altri lavoratori.
Non era quasi mai uomo delle nostre montagne, giungeva dalla bergamasca o dal bresciano, qualcuno dalla Toscana.
Solitario passava le giornate a "curare" la cottura della carbonaia.
Ogni tanto si alzava "soffiava" sul fuoco e si risedeva.
Due settimane passano lente, molto lente.
Ultimata la cottura il carbone doveva essere portato a valle.
Sino allo sviluppo delle teleferiche lo portavano a spalla con carichi che potevano giungere ai 50 chili.
Il sabato libero lo passavano in qualche osteria in compagnia del vino e delle carte, forse di qualche sfrositt con il quale condivideva la solitudine.
Questo mondo primitivo riuscì a resistere sin a ridosso della fine del secondo conflitto mondiale. Si hanno notizie di un'ultima carbonaia a Pogallo in Val grande sul finire degli anni quaranta del novecento.
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