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Eccola qui la Marshall Koshevoy, detta Koscia con la vela bianca. No, sto scherzando, è quest'altra. Stavolta Gastone ha fatto le cose in grande: junior suite, con due letti a distanza rispettabile, due poltroncine di pelle umana come direbbe Fantozzi, armadi capienti e soprattutto una doccia dimensione silhouette di Botero. Fra gli ospiti, tedeschi, un gruppo di svedesi portatori di vari handicap motori vissuti con molta naturalezza e gli italiani, una quarantina, tutte le regioni d'Italia sembrano comunque rappresentate.
L'itinerario forse poco battuto ha fatto una bella cernita, tutta gente interessante ed interessata a ciò che si vede. Siamo molto fortunate con i compagni di tavola, diventeremo amici: Marcello, un compitissimo colonnello a riposo romano, Monia ed Oreste, sposi novelli pescaresi non più di primo pelo, ma di primissima umanità e simpatia e tutti fumatori, con i tempi che corrono non mi sento un'appestata. Per le pipate collettive il luogo di ritrovo è il ponte destro della nave, al terzo piano.
Navigare sul Dniepr offre panorami diversi. Sul Volga fra San Pietroburgo e Mosca, solitudine e silenzio, natura incontaminata ed austera, interrotta inaspettatamente da maestosi monasteri. Sul Dniepr siamo più a sud, la vegetazione è più rigogliosa, spesso riportata e costruita perché alle spalle c'è la steppa, si intravedono molte case nascoste fra le frasche ed il paesaggio urbano, quando appare, è sempre industriale. Si intuiscono povertà e crisi, tante fabbriche in disuso, finite le commesse per la "grande sorella" Russia, gru, ciminiere che non fumano più, impianti all'abbandono, come un quadro al naturale di Hopper.
Con i suoi 800.000 abitanti, Zaporozhye è un paesone totalmente russificato, difficile riuscire a trovarci un qualunque fascino: uno stradone centrale lungo 12 chilometri, il Lenin Prospekt, intorno al quale si sviluppa poveramente e disordinatamente il nucleo urbano, come unico decoro architettonico imperversa la falce ed il martello. Nella piazza centrale domina la statua di Lenin, come altre viste in Crimea, ha la mano sollevata per indicare la giusta direzione al popolo e la scultura di una grande pietra tagliata in due, simbolo della terribile lacerazione della guerra, una ferita sempre aperta. Povera città, i russi per non lasciarla ai tedeschi, i tedeschi per non lasciarla ai russi, era stata bombardata e distrutta quasi completamente.
Zaporozhye ha sempre rappresentato una zona strategica per la sua grossa centrale idroelettrica che fornisce al paese il 25% del suo fabbisogno energetico e poi questa regione sud-orientale dell'Ucraina, sulla riva sinistra del fiume, è molto ricca di magnesio e titanio, numerose nel passato le industrie di lavorazione e trasformazione. Zaporozhye è l'antica patria dei cosacchi, non so se chiamarli predoni della steppa o più nobilmente guerrieri autoctoni, che hanno interrotto i tre secoli di dominazione mongola. Visitiamo l'isola di Horticja, dove nella metà del XVI° secolo è sorto il primo accampamento fortificato, cuore e centro direzionale del potere cosacco. La sua ubicazione, al centro del Dniepr e dopo sette rapide del fiume (dal 1930 con la costruzione della diga non esistono più) ha offerto per quasi tre secoli una favorevole condizione di isolamento, autonomia ed indipendenza. Nel museo locale apprendiamo del loro modo di vivere. Interessante mi è parsa la cerimonia di incoronazione del capo, l'Atmen, primus inter pares, che doveva rifiutare due volte prima di accettare l'incarico ed a cui veniva messo sulla testa sterco di cavallo e cenere per "ricordargli" l'umiltà, dote notoriamente in disuso fra i detentori del potere. Pare che anche Hitler sempre alla ricerca di originaria purezza ariana e riti ancestrali, sia venuto due volte sull'isola e abbia fatto studiare il sito ai suoi archeologi.
Con Gastone ci facciamo una bella passeggiata a pieni nudi sulle sponde, una vasta spiaggia fluviale, la gente fa il bagno, pesca gamberi grigi ed anche l'amico fedele se la gode.
E' industriale, dall'aspetto maledettamente povero anche Kherson, la città dell'Ucraina meridionale dai due porti, quello marittimo sul mar Nero più a sud e quello fluviale. A Kherson sono legati Salomon Rosenblum, la ex-spia dei servizi segreti britannici che ha ispirito Fleming nello scrivere la spy story di James Bond (lo dico per le fans di Sean Connery) ed il bolscevico rivoluzionario Leon Trotsky. Il gruppo di turisti svedesi se ne va a fare una gita al villaggio svedese di Zmiyivka, bizzarra enclave svedese nell'Ucraina attuale, dove si rifugiarono i primi abitanti per sfuggire alla schiavitù della dominazione russa nel loro paese alla fine del XVIII secolo col beneplacito di Caterina la Grande. Noi con i tedeschi invece saliamo su piccole imbarcazioni e passeggiamo sull'acqua fra canali laterali e dacie. Già, a sentir dire "dacia" vien da pensare subito alle megaville di legno fuori porta della nomenclatura e dei ricchi papaveri, ma qui sono minuscole casette strette fra l'acqua e la campagna che da lontano sembrano di marzapane e cioccolato e da vicino ti stringono il cuore.
Gli uomini pescano sulla riva o lavorano nell'orto, le donne lavano panni, i bambini salutano. Nel villaggio di pescatori i viottoli di terra sono tutti impantanati di fango, regalo della pioggia appena cessata, eppure le babushke tentano di vendere all'orda turistica che per loro è una manna ricami, colbacchi, uova dipinte, matrioske, il lavoro dei lunghi, freddi inverni. Ci viene offerto un ricco spuntino a base di pesce affumicato, uova, melanzane con pastella e dolci chiacchiere fritte.
Navigazione magica fra i canali di Kherson, al ritorno ci accompagna un gruppo folclorico lanciatissimo nel repertorio locale e ne ho un po' di tristezza; sotto fard e belletti e malgrado i sorrisi si intuiscono le età, quanta fatica mangiare tre volte al giorno da queste parti.
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