A Palermo esiste un detto, snocciolato ogni volta che i conti non tornano: “E chi su, li diavoli di la Zisa?” (“E cosa sono? I diavoli della Zisa?”). Secondo lo studioso del folklore siciliano Pitrè “la difficoltà di contare esattamente i diavoli della Zisa è data dal fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non intere, così c’è chi li conta e chi no”. Ancor più plausibile il fatto che le figure mitologiche si contavano dopo pantagruelici pranzi inaffiati da generose damigiane di buon vino…
Il cielo di Palermo ha qualcosa di maligno: c’è sempre qualche vecchia e cupa nuvola pronta a nascondere quel sole malato. Palermo non gli aveva mai offerto niente e ora che tornava gli sembrava ancora più grigia e desolata, tutti quelli che conoscevano erano andati via, avevano preferito lasciare le vecchie coppole a marcire sul balcone insieme alla puzza dei gerani.
Stefano Falcone aveva solo voglia di rivedere il suo mare, era l’unica cosa che non era riuscito a dimenticare. Il suo mare, sempre pronto a perdonare. Dei suoi vecchi amici gli restava solo un drago tatuato sulla spalla sinistra. Non li aveva nemmeno salutati. Arrivò alla Cala e s’addormentò tra le barche. Vide riaffiorare quel volto, rivide Gianluca.
Per vent’anni s’era impegnato a dimenticare. E c’era quasi riuscito, quando rivide il volto di Gianluca sul giornale. Gli avevano dedicato la prima pagina e inevitabilmente la storia sarebbe riaffiorata. Ché qualcuno pronto a pisciare combustibile sugli scandali si trova sempre. Aveva fatto una cazzata e ora doveva pagare. Il tempo passava veloce sullo scoglio, lì i pensieri volavano alti e quelli più strani li bucavano le stelle appuntite della sera.
Scarica la novella in pdf (64 Kb)