Doveva vincere il Rookie of The Year a mani basse, almeno stando a quello che ci avevano raccontato in estate non solo nei giorni pre e post Draft, ma anche nel periodo londinese a cinque cerchi. Le cose, invece, sono andate diversamente. Anthony Davis non solo si è visto scippare il premio a lui destinato, ma ha anche destato più di qualche dubbio sul suo effettivo valore. La sua stagione era iniziata come meglio non poteva, avendo avuto l’opportunità di giocare le Olimpiadi con Team USA e, di conseguenza, vivere l’impareggiabile esperienza di potersi allenare con le più grandi Star NBA. Tornato negli States con un oro al collo e tante responsabilità, Davis ha deluso le attese che lo volevano decisivo e determinante fin da subito. La Lega infatti gli ha riservato un trattamento al quale forse non era preparato (soprattutto fisicamente) lasciando più di un appassionato con un pò di amaro in bocca.
Ad oggi, infatti, il Monociglio non ha ancora un ruolo ben definito e soprattutto non possiede ne un tiro affidabile, ne un gioco spalle a canestro, cose che lo costringono ad avvicinarsi frontalmente al ferro dove però ci sono pesci ben più grossi ed esperti di lui ad aspettarlo. Atleticamente è clamoroso, ma nella NBA forza fisica e atletismo sono (per fortuna) un parte infinitesimale del contesto. Davis infatti, non ha mai dato la sensazione di poter e saper trascinare i suoi alla vittoria e (non a caso) le sue migliori prestazioni sono quasi coincise con una sconfitta degli Hornets. Un’altra nota dolente è data dal fatto che l’ex Kentucky non abbia dato grandi segni di crescita durante l’anno: il giocatore di aprile era lo stesso di quello di novembre e, inoltre, stupisce il fatto che, oltre a non essere riuscito a vincere il premio di rookie dell’anno, Davis non sia neanche mai stato rookie del mese ad ovest (premio sempre assegnato a Damian Lillard).
Sia chiaro, non si sta parlando di fallimento totale perchè siamo comunque di fronte ad un ventenne che al primo anno ha totalizzato 13.5 punti e 8.2 rimbalzi a partita tirando con il 51.6% dal campo, saltando 18 partite per infortuni vari. Altrettanto vero è il fatto che entrare in NBA con un certo tipo di pressione addosso può giocare brutti scherzi, specialmente a quell’età. Se consideriamo poi il fatto che gli Hornets/Pelicans hanno vissuto una stagione travagliata da infortuni, su tutti quello di Gordon, e che lo stesso Gordon abbia fatto capire a più riprese che la Big Easy non fa al caso suo, la situazione si complica ancor di più. Ci si aspettava altro, si, ma dalla prossima stagione, con una situazione ambientale più tranquilla e un anno di esperienza sulle spalle, siamo sicuri che Anthony Davis farà vedere cose migliori e riuscirà a migliorare in quegli aspetti del gioco che oggi lo penalizzano. La materia prima su cui lavorare è di primo livello, e sarebbe un vero peccato che facesse la fine di un Kwame Brown o di un Andrew Bogut qualunque.