Il popolo variegato che abita l’arcipelago geo-passionale che dai signori Tigozzi non eredita nemmeno un tinozzo, una cava, un tollino, niente, solo schiaffoni, ebbene tal popolo superstite continua a documentarsi a cercare a frugare a munirsi di lenti ottiche…. Popolo che ancora sa sognare, e che scrive fremente. Ecco il manoscritto caldo, frusciante, scioriniamolo dunque, leggiamolo al grande pubblico delle famiglie intere o sfasciate, a grandi e piccini, non dimentichiamo che troppi non hanno altra forza che quella d’un sogno.
(Racconto inedito di casa nostra, delle difficoltà di ritrovarsi ‘gente comune’, di appelli inascoltati, di aleatorie sinergie, di turbative dell’equilibrio ecologico, di regole del gioco disattese, di strette di mano mai rispettate, di ciò che era, che non è…e che mai sarà. E’ il sibilo prima dell’esplosione).
“James Parton, aveva definito “l’Inferno senza coperchio”. Il grande architetto guardò giù, dalla cima di quella collina dove l’avevano portato. Raccontano che dopo un minuto di silenzio si fosse messo le mani nei capelli. In una NUVOLA DI CENERE PERENNEMENTE IN SOSPENSIONE – in quello che sarebbe stato una bestemmia definire “cielo” – lui poteva sì e no intuire la sagoma di una città e appena appena scorgere la grande “Y” creata dai fiumi Allegheny e Monongahela nel punto in cui confluiscono a formare il grande Ohio River. Quell’acqua era più nera dell’aria stessa”.
Non mi faccio mancare nulla, non mi faccio. Così un bel giorno di qualche sera fa, quando ancora le cicale ce la “cantavano su”, ebbi un incontro occasionale con uno che passava “NON A CASO” di lì dalle mie parti, cioè da quella Cava dei signori Tigozzi e, come non mai, chiesi a lui, tra il losco ed il brusco:
“Vogliamo parlarne, vogliamo? E chi ce lo vieta! Cosa posso farci se abito da queste parti! Loro, solo loro l’hanno voluto tutto questo “piacere”! Basta strisciare! Posso sapere? Domande, certo, domande su domande, lecite, rispettose di quei ruoli ai quali siamo stati abituati ormai da anni…ma le risposte? A quando risposte concrete? Cosa c’è in gioco? Tirerò il fiato, un giorno, vabbe, ma io ci torno su, se proprio vuoi saperlo!”
Il mal di grammatica si cura con la grammatica, gli errori di ortografia con l’esercizio di ortografia, la paura di leggere con la lettura, quella di non capire certe decisioni assurde assunte in virtù di “vattelapesca”….! Ma come si possono assumere certe decisioni: insediare una ACCIAIERIA (sebbene definita “ad impatto zero”, di “ultima generazione”) di quelle dimensioni, con tutti gli annessi e connessi, a qualche centinaio di metri (parlare di “a ridosso” appare indulgente eufemismo, poiché parlare invece di solo qualche decina di metri…ci si indovina, eccome!), da paesi del calibro della Cava dei signori Tigozzi e di Spinadesco, centri abitati nei quali risiedono più di QUATTROMILA “homines sapiens”, mica noccioline? E’ curioso, il dolore, solo chi non lo prova “quel” dolore, non può non rivolgere uno sguardo preoccupato ad un avvenire….“chenneso”, “chenesappiamo” quale avvenire ci attende se non siamo mai stati sicuri del presente? Dicono, i soliti disortografici inadatti all’apprendimento, soprattutto privi di quel briciolo di “granus salis” che nostro Signore a tutti ha dispensato: “Chettiaspettavi”, una fabbrica di bambole?”. Niente panico, per cui, col tempo, ho maturato questa mia convinzione dopo anni ed anni di “convivenza“ con codesta realtà (PIANTALA, DI PIUTTOSTO CHE E’ UNA CRITICITA’, SEI PIU’ CREDIBILE!). Mi hanno fatto tante volte la morale, spessissimo hanno tentato di farmi ragionare, ed in maniera benevola. Mi sono sempre ribellato, non ho mai accettato compromessi, benchè avessi avuto a che fare con persone ragionevoli. Eppure quante ore ho speso a convincermi che non ero l’idiota che sostenevo di essere, che i miei sogni di esilio “fuori” da ogni cruda quotidiana paradossale ambigua sostenibile “vita”, al limite della vivibilità, altro non erano se non tentativi di fuga dalla realtà, una realtà indigesta, difficile da sostenere, alquanto cosparsa di incognite, di certo da non prendere sottogamba. E che bastava che mi fossi impegnato seriamente, anziché legnarmi, per far emergere le mie capacità (pallido tentativo narcisistico ad oltranza!). No, no, il problema non è se sia stato “giusto” aver permesso ciò che il BUON SENSO, invece, avrebbe rifiutato a priori. No! Quello, il madornale errore, ormai è stato compiuto, quindi ora NON STATE A MENARCELA con quel che è giusto e quel che è realistico. E’ SBAGLIATO, è tremendamente sbagliato, è fuori ogni logica negatrice di “oculati insediamenti industriali in aree densamente popolate”, PUNTO E BASTA! In questi due “paesi” (Cava e Spinadesco) un tempo vivibili, mèta di indimenticabili gite “fuori porta”, circondati da rigogliosi campi dai raccolti copiosi, da qualche tempo a questa parte è risaputo che sono state prodotte turbative dell’equilibrio ecologico (il rumore ambientale) come pericoloso fattore di insalubrità ambientale e, quindi, di rischio per la salute. E “cheffa” il legislatore, il pubblico amministratore? Pone volontà per limitare l’esposizione della popolazione, ARCISTUFA, al rumore ambientale? Forse non ci sarà più la “Scuola dell’obbligo”, (guarda un po’ che bella pensata!)…ma ci saranno pur sempre una casa di cui tu ti devi occupare, dei bambini da tirar su, genitori anziani da accudire, tradizioni da salvaguardare . Che strani incontri, a volte, ti capitano quanto meno te l’aspetti in quella Cava dei signori Tigozzi! Un fatto, un episodio, una circostanza. Tardo pomeriggio di un grigio inverno, (come “grigio” può essere solo da noi il grigio, non già l’inverno). Mi sfreccia vicino un ragazzino che ho visto crescere, di buona famiglia, rispettoso del prossimo: “COSA FARAI DA GRANDE?”, chiedo a lui, nel mentre assieme osserviamo quegli immensi innumerevoli strabordanti “sbuffi” uscire da “certi camini”? E quel ragazzino dalla faccia pulita, sveglio come lo sanno essere solo certi ragazzini già coi piedi per terra, per l’appunto così al volo mi risponde solerte: “APPENA DIVENTO GRANDE…IO DA QUA TAGLIO LA CORDA”. Non era una frase di circostanza, non era un volersi sbarazzare di un adulto rompiscatole, impiccioso, curioso oltre ogni limite, era una RIFLESSIONE intelligente alla quale immediatamente era stata data una RISPOSTA altrettanto intelligente, per il tramite di una SAGGIA SOLUZIONE. Lucida, spontanea, chiarificatrice del suo futuro, quella risposta, oltre ad avermi stupito e profondamente scosso, aveva riportato alla mia mente un episodio di qualche anno fa raccontato sull’on line da un figliolo qualsiasi, divenuto adulto, pubblicato su di un diffuso social network, da me letto con interesse e poi gelosamente archiviato quale loquace testimonianza. Lo riporto, con un abile “copia ed incolla”, così come me lo sono archiviato.
“Quel giorno era iniziato come tanti altri. Sveglia, colazione, via al lavoro. Stessa strada, stesse facce, le solite bestemmie rivolte agli altri automobilisti, gli stessi extracomunitari fermi ai semafori, alla ricerca – più che di monete – di una parola buona o di un sorriso. Edicola, solita inguardabile edicola, mi avvicino per leggere il solito giornale cittadino. Uno dei titoli in prima pagina gela i miei pensieri. “Addio alle Acciaierie. Largo alle ruspe, cominciata la demolizione della storica fabbrica di via Paolo Ferrari. Dopo quasi ottant’anni le Acciaierie di Modena verranno demolite per lasciare spazio ad un moderno centro con uffici, negozi e appartamenti…” Mi avvicino con cautela al giornale, quasi che potesse azzannarmi, leggo meglio. Arguisco che tutto il comprensorio delle Acciaierie Ferriere di Modena sarebbe stato demolito da lì a pochi mesi, nell’ambito di una ristrutturazione della fascia cittadina attorno alla ferrovia. Non potevo crederci, non volevo crederci. Lì ci aveva faticato mio padre! Come per magia la mia mente mi portò a vent’anni prima, o poco più, a quel giorno in cui pensai di avere visto l’inferno: fu quando visitai per la prima volta il luogo dove lavorava Ivano, mio padre. Mia madre era operaia alla Fiat trattori e, prima di allora, aveva passato la bellezza di vent’anni in mezzo agli altoforni delle smalterie Ligmar, una ditta di cucine ormai scomparsa dalla realtà modenese. Mio padre, invece, lavorava alle Acciaierie Ferriere di Modena, una delle industrie più produttive dell’intera Europa. Durante i pasti sentivo parlare di capireparto, di dolori al corpo e di turni massacranti e interminabili di lavoro, ma quel mondo a me sembrava così lontano… Capivo che i miei genitori stavano passando gli anni migliori della loro esistenza chiusi in posti alienanti, per dare a me e a mia sorella un futuro migliore del loro, ma la mia età era quella dell’incoscienza e perciò io sì pensavo al loro lavoro ma poi non così tanto a dire la verità. Fu così che, quando mio padre mi propose di andare a vedere il luogo dove lavorava, pensai che sarebbe stato interessante e comunque anche divertente; nella mia vita non avrei mai più fatto un errore così grande di valutazione………..Passai alcune ore in mezzo a quei capannoni semideserti e ad ogni angolo vedevo vecchi fantasmi che mi sorridevano finché non arrivai alla laminatrice, il macchinario su cui lavorava mio padre. E lo rividi, curvo su quel mezzo infernale, con la tuta blu, l’elmetto giallo anti-infortunistico e le sue possenti braccia. Si voltò verso di me e mi sorrise. Ci abbracciammo ed io sentii il suo calore, il suo odore, dolci sensazioni scomparse da ormai troppi anni. Sono passati parecchi mesi da allora. La zona è stata “recuperata”. Palazzi di vetro tutt’intorno hanno preso il posto dei capannoni, una rotonda stradale copre il vecchio piazzale e in mezzo a tutto questo c’è ancora la vecchia laminatrice, lasciata sul posto come un monumento, naturalmente riverniciata. E verde, tanto verde, verde dappertutto. Chissà, forse per recuperare “qualcosa” di perduto, per sempre, qualcosa che era stato sottratto incautamente a madre natura. Invece no, invece s’era riuscito a recuperare ancora qualcosa di “familiare”, di abituale, qualcosa a cui ormai nessuno sperava più. Tutte le volte che passo di lì, io vedo mio padre, con quella tuta, quel sorriso, intento a rimettere in sesto il vecchio e gigantesco macchinario. E con lui vedo tutti i suoi colleghi, tutti quegli uomini che in quei luoghi hanno lasciato i loro anni migliori e che, in alcuni casi, lì hanno perso la vita. Sarà perché mio padre mi manca o sarà perché a lui penso spesso, ma quella zona di Modena per me non è cambiata e, forse, non cambierà mai”.
Annunciazione di amore, riconoscenza, rispetto, di gratitudine da parte di quel figliolo adulto nei confronti di quel padre (e di quella madre) che tanto avevano a lui donato, annunciazioni che sprizzavano negli occhi, che facevano le fusa, come un sorriso, “dolce”. Quanto mi piacerebbe raffigurare, in maniera emblematica, i due VOLTI dell’acciaio citati nel titolo: il “VOLTO” DEL LAVORO, incessante, stremante, avvilente ma pur sempre onorabile, un volto che inevitabilmente sprigiona “sbuffi” provenienti da quell’acciaio plasmato, lavorato, domato, commercializzato, in contrapposizione con il VOLTO, con quei tanti, troppi VOLTI preoccupati, messi in ansia, pensierosi, alla ricerca di una tranquillità ambientale di chi vive e rivive, giorno dopo giorno, sulla propria pelle, costantemente, senza soluzione di discontinuità: RUMORI, ODORI, SAPORI, FUMI, POLVERI, DISCARICHE DI SCORIE, TRAFFICO LOCALE ALTERATO, NOTTI INSONNI, INSICUREZZA DI VITA, OSCENE PROPOSTE AL LIMITE DELLA TOLLERENZA PER ATTENUARE TUTTE QUESTE CRITICITA’. E’ andata male, davvero è andata male…qua da noi. Niente da fare. Ed allora, come sempre avviene in questi casi, uno peggiora la situazione. E “cheffa”? Si alza in piedi, scaraventa via la sedia, manda a “quel paese” tutto e tutti, si ficca le sue cose nello zaino e sbraita: “Ma che vita di “cacca” è divenuta ormai codesta? E’ questo, è questo che volete da noi (rivolgendosi ai “tutors” del Palazzo)? Dove sono andati a finire il silenzio dei nostri luoghi, l’immobilità di un’aria trasparente, i profumi dei campi, i ragazzini che si fiondavano sulle rive di quei corsi d’acqua? La vita, la vita non fa domande, ma da noi la vita “non funziona”, la vita non funziona così, qua da noi la vita non funziona e basta. Nessun inconscio, questo è il nostro motto. Noi siamo responsabilmente talmente consapevoli di questo stato di cose a tal punto che la somma dei nostri atti…è arrangiarsi, sono divenuti cavoli nostri, della serie “AIUTATI CHE IL CIEL…T’AIUTA”. Adesso facciamo quello che ci pare. Ci leviamo la mattina, di buon’ora, gettiamo in aria il cappello e…dove cade cade. Ci facciamo la nostra bella “risata”, assolutamente spontanea, e chi si è visto si è visto! Ma noi ragioniamo, ascoltiamo, parliamo, ci confrontiamo, vediamo, osserviamo, fortunatamente (giurin giuretto) difficilmente crolliamo alla prima “folata” di vento, d’accordo, ma FINO A QUANDO POTREMO RESISTERE? Soprattutto FINO A QUANDO SOPPORTEREMO LE VOSTRE SOLUZIONI DI COMODO? Perchè, vedete, si fa bello a dire…’che capricciosi quellilà’! Ma voi (così ci apparite) voi state assumendo iniziative che sono roba da far perdere ogni speranza nella specie umana. Voi state intraprendendo una scorciatoia spaventosa, state facendo nascere in noi un ordinario rancore. Certo, poteva capitarci di peggio, ma poteva anche andar meglio, soprattutto…TUTTA LA VITA! E intanto, noi (non già voi!) siamo quelli che condividono, giorno dopo giorno, i nostri magoni. Ma io dico, mamma santissima, un sussulto, un sussulto, non siete capaci nemmeno di un semplice sussulto? Ma che AVVENIRE è un AVVENIRE NON SOSTENIBILE (da tutti i punti di vista), soprattutto NON SOSTENIBILE dalle future generazioni? ‘Damose da fa, va là’…ce lo suggeriva persino quel grande Papa di nome Giovanni Paolo! Immaginare una quotidianità migliore, più vivibile, più a misurare di uomo.,..non significa menzogna. SI PUO’, SI DEVE FARE!”.
Come spesso accade allorquando si pone “fine” ad un novello racconto, vadano dunque le mie scuse a tutti quelli che hanno sopportato codesto somaro che c’è in me nel mentre scrivevo queste paginette. E chiudo, chiudo con un irrinunciabile “due righe” apparse sul recente necrologio in seguito alla morte di un carissimo amico: “ COMPORTATI IN MODO CHE LA TUA AZIONE NON DEBBA ROVINARE IL DESTINO DI GENERAZIONI CHE VERRANNO”. E adesso che ho finito il “pezzo”, signori del Palazzo, occorrerà che vi impegnate per rimettere le COSE A POSTO. Quel che bisognava dire…io l’ho detto. Ora tocca a voi; mi auguro che non siate i soliti “maldestri mestieranti” e che la vostra penna ricominci a correre sui tanti fogli lasciati, per troppo tempo, bianchi. Forza, dateci una mano, non siate le solite “figure senza volto”. La soluzione c’è, basta APPLICARLA. Ma non mentiteci; vogliamo vederci CHIARO. Da noi la SBRONZA…manco la SBRONZA da noi funziona più!
Carnovali “Piccio”
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