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"C'era un tale, piccolo e gracile, Vittorin Corona Gusialà, che aveva un tamburo speciale dal suono unico. Secco, acuto, dalla vibrata lunga e dolorosa, quel tamburo non aveva rivali. Infatti, Vittorin, che di professione lo scuoiatore, guidava la testa del gruppo di battitori. Allora erano più di ottanta. Ma su di lui correvano voci strane. Sua moglie era sparita senza più comparire in paese. Era un donnone immenso, il doppio del normale, e picchiava il marito ogni giorno. La gente sospettava, a volte mormorava che lui l'avesse ammazzata e buttata nella foiba dell'Oian. Alcuni sussurravano che l'aveva spinta dentro la voragine ancora viva. Vittorin invece piagnucolava, diceva che lei, dopo averlo abbandonato, era scappata all'estero con un altro. Molti lo credevano. I più cattivi, quelli che disprezzavano Vittorin per la sua mitezza, per la sua sottomissione, shignazzavano dicendo che non era capace nemmeno di ammazzare le galline, figurarsi una moglie di quella stazza. Erano chiacchere, e circolavano. Vittorin Giusala le sentiva, ma non ci faceva caso. Passarono trenta Pasque. E per trenta settimane sante, una all'anno, Vittorin battè il tamburo in testa al gruppo dei figuranti. Era l'unico degli ottanta ad usare bacchette di frassino. Tutti picchiavano con le classiche mazze a pomello, lui batteva con due scudisci. Diceva che la pelle sentiva più male e che quindi urlava di più. Diventò vecchio e si ammalò. Era la primavera del 1950 e Vittorin Giusala aveva settant'anni.Quan'ebbe la certezza che la signora con la falce stava seduta accanto al letto, mandò a chiamare il prete e due amici. Con un filo di voce disse: "Prima di morire, vorrei parlarvi di mia moglie. Era grande e grossa, mangiava tanto e digeriva male. Allora diventava nervosa e mi picchiava ogni giorno, perchè mangiava di continuo. Voi lo sapevate che mi picchiava, ma non avete mosso un dito. Nemmeno lei, reverendo, ha mosso un dito. Un giorno, stufo agro, mi sono messo anch'io a picchiare lei. L'ho picchiata, con una soddisfazione che non immaginate. Sto per morire, ma prima di andarmene, devo raccontarvi un segreto. Mia moglie è sepolta nella stalla, sotto la vasca di pietra dell'abbeveratoio. Però ho sepolto soltanto la carne, perchè con la pelle mi sono fatto il tamburo che ho battuto per trent'anni. Quante gliene ho date a quella troia, in trent'anni! Mi sono ripagato di tutte quelle che ho preso".Il prete gli chiese come l'avesse uccisa, visto che era grossa il doppio e sapeva difendersi. Vittorin rispose che l'aveva fatta fuori col forcone da fieno mentre si era appisolata sulla panca della stalla: "L'ho forata nel collo" continuò "e ho tenuto la forca premuta finchè non è andata giù. Poi, con calma, l'ho spellata. Ci ho messo tempo, era larga, come scuoiare una vacca. Ho spostato la vasca con la leva e l'ho seppellita là sotto. Ho spinto la vasca al suo posto e l'ho riempita di nuovo. La pelle l'ho messa a seccare in soffitta e poi ho fatto il tamburo. Ne era avanzata tanta... Volevo fare altri tamburi invece l'ho bruciata nel focolare. Prima di pregare vorrei pregarvi di tirare fuori mia moglie da lì e seppellirla con me assieme al tamburo, che è un pezzo di lei". I tre non volevano crederci, ma, quando scavarono sotto la vasca e trovarono le ossa della matrona, si convinsero. Nel frattmpo, Vittorinn Gusiala era morto col sorriso sulle labbra. Spirò sussurrando: "Quante gliene ho date a quella troia!". Li seppellirono assieme, tamburo compreso. Chissà che Vittorin non continui a batterlo anche sottoterra. Qualcuno afferma che la notte del venerdì santo si ode il suono di un tamburo dalle parti del cimitero, ma non è cosa certa. Certo è che il mite Vittorin Gusiala, che pareva incapace di fare male a una mosca, assassinò la moglie, la scuoiò e con la pelle si fece un tamburo."
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