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i figli dei marinai

Da Foscasensi @foscasensi
I figli dei marinai non li battezza l'acqua: il mare. Anche se il carro li porterà lontano sapranno sempre di Sale.
Qualcosa del genere è dipinto con un dito di tempera o coppale sulle cabine, la spiaggia è una gragnola di sassi lisci verso nord fino a Portovenere dove si apre il golfo e ogni tanto prendono il largo navi da guerra e pescherecci.
È tempo di pinoli. Crescono, o meglio cadono nel parco. Lasciano polvere e grigio gli aghi pungono e le scorze sono picchiettate di nero e marroni infiammati. So fare collane infilando ogni ago in se stesso e ciascuno nell'altro in una catena che odora verde.
Il caffè non fuma più, ha lasciato la bava crema e soffice come baffi nel circolo di ceramica nella tazza. Altri cerchi meno recenti appiccicano il tavolo e c'è musica. Del chitarrista la donna vede il dorso della destra uno spacco di zigomo e il piede secco e ritmico sul legno. Alterna nel mostrare carne e vestiti con un gusto jazz, più consistente nello scollo e la gola, sempre scoperti. Agli applausi porta la lingua alla tazzina ma la bocca essendo chiusa lascia la gromma com'è: rossetto e zucchero e una specie di spuma amarognola. Negli “a solo” c'è chi si alza e accenna qualche passo nella pista di fronte al palco: la donna aspira sigarette, s'ispessiscono le rughe intorno agli occhi e non dice niente.
Florio siede dietro alla chitarra ha una bandoliera nera ma coperta di pelo. Di lui si ricordano i ricci untuosamente insieme alle orecchie, la cinta all'ultimo buco e come appoggiata a un bastone, la camicia sgargiante (al buio non si sa mai se sia fodera o raso se sia sempre quella o una delle tante). E poi l'avambraccio nudo le dita forti e nei momenti di maggiore concitazione le labbra contratte e un po' divaricate sul luccichio di una punta di lingua e una chiostra di denti sani gialli distanti fra loro appena sotto il naso.
Quando lo spettacolo è finito la donna schiaccia la sigaretta che sta fumando sul tavolo. Se è appena cominciata recide il confine fra tabacco e cenere con l'unghia e a sera molto tarda capita che nel gesto si ferisca il pollice. La stanchezza nel suo caso soverchia il controllo. I camerieri stagionali attendono un suo cenno per sparecchiare, i decani sanno già come essa vuole sistemata la balera.
La donna nell'alzarsi appoggia le palme sul tavolo e copre a mani leggermente arcuate gli orecchini che abbandona sempre poiché i lobi le prudono e ogni sera nel giro di poco mostrano la  capocchia sanguigna dei buchi come un cuore infilzato. E dopo che ha posto gli orecchini in una borsa di perle e cretonne, o nello scollo, o nelle tasche, se ne ha, dell'abito da sera, dopo che ha controllato negli specchi truccati, un po' foschi e snellenti appesi agli attaccapanni, le regioni della faccia il ventre e dove sotto, visibilmente, gli elastici della biancheria strizzano il fianco e le rotondità maldistribuite sulla superficie delle scapole, dopo che i camerieri le hanno servito un vassoio di frutti di mare freschi ch'essa ingoia crudi con grandi carezze di lingua e un bicchiere di vino bianco, dopo queste cose sempre uguali o più o meno sempre molto simili la donna apre una porta chiara chiusa a chiave vicino ai bagni, e là si ritira. Florio depone la chitarra e la segue.
(continua)

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