A fronte dell’attuale e tutto occidentale dibattito pubblico sui drammi esistenziali che diventano legge, quello del divorzio no-fault – simbolicamente tradotto “senza colpa” – non ha avuto (e non avrà) sicuramente lo stesso destino. Le implicazioni del divorzio no-fault non sono, in realtà, mai state dibattute davvero.
Stephen Baskerville, professore associato al Patrick Henry College in Purcellville (Virginia) e ricercatore presso l’Independent Institute e l’Howard Center for Family, Religion, and Society, è la principale autorità nelle politiche statunitensi dei tribunali per il divorzio e la custodia famigliare. In un acuto articolo pubblicato su Catholic News Agency, egli analizza alcuni miti sul divorzio no-fault. Passando in rassegna il finto “mutuo consenso fra i partner”, l’emancipato “non possiamo costringere le persone a rimanere sposate”, o il superlativo “interesse del bambino” nella decisione giudiziaria, Baskerville si sofferma a lungo sul mito secondo cui sarebbero gli uomini ad abbandonare moglie e figli.
“In realtà – sottolinea l’autore – la stragrande maggioranza dei divorzi, soprattutto quelli che coinvolgono i bambini, viene richiesta dalle mogli. Lo scopo del no-fault è quello di usare i bambini come armi o pedine per ottenere il potere tramite un tribunale. Il pericolo e la disonestà di riferirsi al divorzio come ad una “decisione privata” della coppia appaiono evidenti nell’implicito obbligo che grava sui figli e la società intera, oltre che sui coniugi stessi; inoltre, la cosiddetta “decisione privata” è in realtà esercitata e imposta da uno dei due coniugi sull’altro”; trattasi perciò di ‘una decisione pubblica all’interno di un divorzio quasi esclusivamente unilaterale’. L’amaro e alquanto istruttivo progetto che sta dietro all’impresa divorzista – o “catalizzatore di uno dei cambiamenti culturali più distruttivi della storia umana”, secondo Baskerville – si sta diffondendo in tutto il mondo in nome dei “diritti umani” (per nulla universali e molto personali o di proprietà) e nella rivendicazione di una “liberazione da”, da parte di un’ideologia femminista fattasi costume.
Oltre alle problematiche di ordine sociale, politico, economico e ad un pericoloso aumento del potere dello stato nella vita privata delle persone, il pedaggio più devastante che il regime divorzista impone è quello sui figli delle coppie che divorziano. La separazione di un figlio da un genitore (di solito il padre) è la prima azione che lo stato esercita per giustificare l’avvenuto divorzio.
In un articolo del 2009, Baskerville mostra l’ “enorme attenzione – soprattutto scientifica – data alla condizione di oltre 24 milioni di bambini americani che crescono senza il proprio padre” (Baskerville, S. (2009). Freedom and the Family: The Family Crisis and the Future of Western Civilization. Patrick Henry College, Vol XXII, Nos 1 and 2, pp. 169-184.). Un fenomeno direttamente collegato a tutte le patologie sociali del nostro tempo: abbandono scolastico per scarsa autostima e problemi d’ansia; suscettibilità alla malattia causata da situazioni di stress significativo; raddoppiata o triplicata propensione al divorzio rispetto a ciascuno o ad entrambi i genitori che hanno divorziato; inclinazione al crimine e all’abuso di sostanze; maggiore rischio di ictus e morte precoce (ampiamente trattato qui e qui).
“Lo stereotipo, sia di destra che di sinistra, che i padri stanno abbandonando i loro figli ha provocato una straordinaria espansione del potere statale. Come in un circolo vizioso, i costosissimi (e fallimentari) programmi federali che da Bush a Obama promuovono terapeuticamente la virtù di stato, ossia la “paternità responsabile” o la “buona paternità”, sembrano – tuttavia – ignorare un regime giuridico che produce e aggrava la dissoluzione della famiglia. Sostituendosi al padre e assumendo il ruolo di protettore ed educatore dei figli lo stato modifica pesantemente i ruoli famigliari dei singoli membri. (…) La logica del regime divorzista erode – infatti – la principale fonte di virtù e libertà che è la famiglia, poiché insegna principi di immoralità e tirannia nella futura generazione di cittadini che sono i figli del divorzio. Essi crescono, ad esempio, pensando che è normale veder dirigere la propria vita famigliare da dei funzionari governativi (giudici, assistenti sociali, psicologi, ecc.), che è normale separarsi dai genitori o non tener conto della loro volontà e decisioni, o sfidarli senza provare alcun senso di colpa.
“Politicamente – ricorda Baskerville – il più potente argomento contro la schiavitù non era tanto la crudeltà fisica, ma la sua degenerazione morale nelle nuove generazioni. Il sistema tirannico (o servile) che si radicava nelle famiglie schiaviste (o schiave) era, infatti, profondamente incompatibile con la civiltà repubblicana che stava nascendo.” Avvertiva, infatti, l’abolizionista Charles Sumner (1811-1874): “Il tenero cuore dell’infanzia è già indurito dalla visione di queste condotte e così la vita futura sarà a lungo testimone di questa mancanza di carità legalizzata. L’incapacità di sradicare dalla propria natura un simile degrado non favorirà di certo la formazione di quei doveri di magnanimità che fanno di un cittadino un buon cittadino.”. Qualcosa di simile accade oggi con i figli del divorzio, nel mondo.