Anche se non ho intenzione di cercare un altro lavoro (annidata come sono nel posto statale), ho aderito all'iniziativa Il CerVello di mamma e papà.
Onestamente, non ho ancora cercato un'azienda a cui mandare il mio CV, ma ho una gran voglia di farlo, anche solo per vedere quanto "valgo" ancora nel mondo là fuori.
In questi giorni, quindi, ho cominciato a chiedermi qual è stato l'insegnamento più grande che ho tratto dalla maternità. E la prima cosa che ho pensato è che i figli mi hanno insegnato qualcosa sì sui miei pregi, ma anche sui miei difetti. Per esempio, su quell'opportunismo che Luca conosce bene tutte le (poche) volte in cui c'è da alzarsi di notte e io prometto mari e monti pur di non farlo io. Oppure su quell'insofferenza che è pronta ad esplodere ogni volta che la mia corda è troppo tirata. Ecco, però questi sono difetti che ho sempre rintuzzato sul lavoro, e che probabilmente da qualche parte si devono pur sfogare.
Le cose belle, d'altro canto, ci sono e sono tante.
La prima che mi viene in mente è che la famiglia nella mia testa è come una squadra e come tale viene gestita. A differenza di una squadra "classica", la mia famiglia non ha un leader, ne ha due, perlopiù intercambiabili. Io e mio marito abbiamo opinioni differenti su molti argomenti, discutiamo spesso e a volte arriviamo al litigio vero e proprio. Ma, di fronte alle esigenze della famiglia o di un suo membro, facciamo squadra mettendo da parte ogni dissapore: diventiamo efficienti, veloci, lucidi.
Siamo anche consapevoli delle spinte interne della famiglia, ovvero del fatto che le "lotte di potere" non coinvolgono solo noi grandi: ogni membro della famiglia, pur magari non aspirando consapevolmente al comando, cerca sempre di imporre la propria volontà e la propria opinione sugli altri. Mantenere l'equilibrio senza scatenare una guerra perenne impone doti di organizzazione, negoziazione e tranquilla fermezza che a 25 anni non possedevo di certo.
Questa impostazione ha una ricaduta anche sul lato casalingo: vivere la famiglia come una squadra significa che non sono io povera schiava a sobbarcarmi tutti i lavori domestici, ma ciascuno è almeno minimamente responsabile per la sua parte. Al momento, ciò significa essenzialmente che io e Luca ci dividiamo i lavori. Però ci sono le basi perché in un futuro spero non lontano i figli riempiano la lavastoviglie, passino l'aspirapolvere almeno dove è più facile, aiutino a mantenere la casa in modo decoroso.
Quindi, avere una famiglia mi ha anche aiutato ad avere una visuale più lunga, a relativizzare il presente in funzione del medio e lungo periodo. È una dote che è indispensabile applicare nei momenti decisivi, quando si fanno scelte (tipo la scuola) che avranno conseguenze per molti anni a venire.
Si sbaglia, eccome, ma si impara anche a non avere paura di sbagliare e a riparare senza dover ricominciare da capo per forza. Si impara soprattutto a non prendere lo sbaglio sul personale ("sono una frana, non ne faccio mai una giusta" oppure "ma non dipendeva da me"), bensì a osservarlo freddamente e capirne le ragioni oggettive (tipo "ho fatto questo perché non avevo una certa informazione, la prossima volta mi informerò anche su questo argomento prima di agire").
Infine, c'è qualcosa che i miei figli non sono ancora riusciti a insegnarmi? Penso che, anche se sono migliorata parecchio, la pazienza non sia ancora una dote che posso vantarmi di avere. E nemmeno la costanza, se devo proprio dirla tutta.
Ci lavoreremo: c'è ancora un pezzo di vita per farlo.
Magazine Famiglia
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