Sbarca al Lido anche il francese Philippe Garrel che presenta in concorso il suo La jalousie; protagonisti, il figlio Louis, ormai una costante nella filmografia paterna, e un’ottima Anna Mouglalis.
Louis, trentenne in crisi con la compagna Charlotte, da cui ha avuto una figlia, inizia una relazione con una attrice ormai decaduta. L’iniziale coinvolgimento da parte di entrambi lascia ben presto spazio alla noia e all’inquietudine, facendo naufragare il rapporto. Dopo aver tentato il suicidio, forse Louis sarà in grado di ricominciare a vivere.
Un film tecnicamente ineccepibile, fotografato in uno splendido bianco e nero, in cui lunghe inquadrature fanno da sfondo al tema centrale dell’amore, vissuto (dai protagonisti) e analizzato (dal regista) in tutte le sue variabili e sfumature: innamoramento, entusiasmo, quotidianità, logoramento. E infine la separazione.
Chiaramente ispirato alla Nouvelle Vague, da cui riprende la dilatazione dei tempi, i lunghi silenzi contemplativi e i dialoghi impegnativi e concettuali svincolati da una comune percezione della realtà, La jalousie risente però di una lentezza che appesantisce la visione.
Un’operazione troppo intellettualistica e poco sentita, in cui Garrel ribadisce la sua tesi sul rapporto amoroso visto come gioco di ruoli: ormai il tutto sa però di stantìo e rischia il manierismo di una riflessione che collassa su se stessa, riciclando sempre i medesimi spunti. Siamo ben lontani dai tempi di J'entends plus la guitare.
Voto: 2/4