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I fiori di Bach “NON” funzionano.

Da Maxvolpi @maxvolpi

terapeuta

Sono sempre lieto quando un utente, un cliente, un amico mi invita a riflettere sulla possibilità che i fiori di Bach “non funzionino” ed in effetti anch’io, che come tutti, ho avuto qualche insuccesso terapeutico, sono portato a ragionare su quali, in quei casi, siano stati i miei difetti nell’interazione (sono stato molto Pine … ahah!) con la persona o se vi sia una reale causa di “bassa funzionalità floreale”, in cui la persona non assorbe l’informazione trasmessa dai fiori.

Ringrazio Mara, utente del gruppo di Facebook ” Il Floriterapeuta” per il commento che, sotto molti aspetti, condivido e proprio per questo mi permetto di integrare con un mio punto di vista a favore di chi legge con alcune precisazioni e credo e spero questo possa farle piacere. E’ vero, a volte i fiori, possono non funzionare. A volte (spesse volte) il terapeuta è poco preparato o la persona assume i fiori (in modo autonomo) concentrandosi ciecamente sul punto di vista che ha di sè, pensa che non funzionino ed in realtà sta prendendo fiori poco adeguati. Tra l’altro, volendo lievemente approfondire questo discorso, a volte un solo fiore fa sentire un peso enorme all’interno della terapia e quello stesso fiore non viene integrato, per cui si hanno risultati di lieve e continuo miglioramento che non giunge a risoluzione perchè quel singolo fiore non è presente. Tornando al “non funzionare” ci sono almeno tre aspetti da tenere sempre presenti che possono diventare molti di più, approfondendo un poco la questione. Questi tre aspetti sono:

i fiori - il cliente - il terapeuta (alla faccia del doppio cieco!).

I fiori: i fiori sono la parte neutrale del trattamento, sono in grado di svolgere la loro funzione sempre, indipendentemente dalle parti in gioco. Se così non fosse, utilizzeremmo le radici o le foglie o la cannabis. ah…  ;-)

Il cliente ed il terapeuta sono sia trasmittenti che riceventi.

Il cliente: Già il solo fatto di individuare quali fiori somministrare ci mette nelle condizioni di capire quale sia il pensiero della persona. Se io tratto un Mimulus come tratto un Impatiens, ho un sincero problema di differenziazione terapeutica, magari sono comunque empatico, simpatico, funzionale, ma è necessario capire che ogni fiore porta una dinamica personale ben definita, ha sogni e bisogni bene definiti e per questo il terapeuta dovrebbe “sempre” entrare nel pensiero del cliente cinque minuti prima del colloquio e pensare come lui pensa. E’ necessario conoscere le dinamiche emotive di ogni fiore per ritrovarle nelle persone e poter andare loro incontro con una terapia differenziale che le stimoli a sviluppare i loro talenti, evitando di toccare sul vivo i loro difetti perchè, per negative o stronze che siamo le persone, certo non è nostro compito giudicarle, ma semplicemente offrire loro la struttura floreale adeguata ai loro bisogni. Già soltanto il fatto di giudicare ci mette nella prospettiva sbagliata. Il peggior ladro, stupratore, assassino ha certamente un comportamento errato a livello animico nei confronti della sua vittima, ha certo “peccato” per usare un termine cristiano, ha offeso creature più deboli e questo può scandalizzarci o offenderci, è anche vero che non essendo noi nè giudici nè dei, dovremmo sempre mantenere un equilibrio che ci permetta di entrare ed uscire lindi dalla vita. Il giudizio di per sè, è sempre negativo anche se dato a fin di bene. Il consiglio, solo se richiesto, ha certo maggiore utilità. Ognuno si comporta seguendo gli schemi che ha appreso e se questi schemi risultano per l’Anima che li segue sbagliati, la “punizione”, il “castigo” sono già insiti nella sofferenza che gli schemi stessi hanno costruito e che impediscono di giungere a livelli di vita più elevati dove si respira un’aria più pulita. Qual’è il motivo per cui io dovrei intervenire? Forse togliere la mia trave prima della sua pagliuzza mi aiuterebbe a vedere meglio. Per questo è necessario comprendere a fondo il cliente  per capire dove egli abbia bisogno di andare.

Egli può avere una conoscenza emozionale di sè buona, scarsa o nulla. Può essere in grado di trasmettere le sue impressioni sul trattamento perchè abituato ad osservarsi oppure può solennemente affermare di non aver sentito cambiamenti e magari, come Agrimony, fatica ad entrare in contatto col suo sentire profondo proprio perchè molto sensibile, oppure può essere emotivamente piatto e non accorgersi del cambiamento anche se avviene.

Il terapeuta: è necessario che il terapeuta con le sue conoscenze, non solo floreali, riesca ad estrapolare il maggior numero di sensazioni ed informazioni al cliente per riuscire a ricostruire il quadro di ciò che sia effettivamente accaduto nel periodo di assunzione. Con dinamiche di ascolto attivo, tecniche di pnl, metaposizioni, il terapeuta può accedere a spazi della persona ch’essa non vede, per conoscere a fondo la realtà che porta.

Spesso non sono i fiori che “non” funzionano, molto spesso sono i terapeuti che non sono in grado di aprire una dinamica e portarla alla luce.

Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal nel 2002:

- il medico interrompe il resoconto del paziente dopo circa 22 secondi di racconto.

- il 90% dei pazienti conclude spontaneamente dopo 92 secondi.

- nello spazio tra i 22 e i 92 secondi viene menzionato il 75% dei sintomi, cioè più il paziente parla e più informazioni gli vengono in mente.

- il 36% dei pazienti non ricorda le informazioni fornite su prognosi e terapia.

- il 70% dei pazienti assume in modo scorretto i medicamenti.

comunicazione-medico-pazien

(dati tratti da “Comunicazione Medico - Paziente” - Ed. Nlp Italy)

Basterebbe quindi che la persona assumesse i fiori con una frequenza diversa da quella consigliata che il “non” funzionare dei fiori diventa evidentemente una questione con migliaia di plausibili cause che è nostra cura, secondo coscienza, verificare, per creare un rapporto funzionale, mirato al risultato desiderato, cioè il raggiungimento dell’obiettivo concordato ad inizio terapia.

Inoltre se effettivamente i fiori dessero una risposta inferiore al risultato, potremmo sempre ricorrere ai “catalizzatori”, ovvero a quei fiori che stimolano una eventuale risposta restia ad arrivare: Holly, Wild Oat, Agrimony, Chestnut Bud, Wild Rose, Gorse, etc.

A volte, come detto da Mara, la persona non è effettivamente pronta per un lavoro floreale e quando questo accade, spesso è lei che spontaneamente lascia la terapia e nel moto del cosmo anche questo, come le maree, le stagioni, le piogge, ha una sua ragion d’essere che dovremmo comprendere anzichè osteggiare.

Quando i fiori “non funzionano” c’è quindi, quasi sempre una causa che esula dai fiori capaci da settant’anni, inesorabilmente, di mietere successi dopo successi.

Certo poi qualche “insensibile floreale” ci sarà pure e forse mangia chili di Aulin per colazione.

Buona pratica a tutti.


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