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Da quando posso permettermi di farlo, mi capita di chiamare a lavorare in televisione alcuni sceneggiatori di fumetti. Ho cominciato tre anni fa con “Il commissario Rex” - di cui ero autore ed Head Writer- chiedendo ad Alberto Ostini di scrivere alcuni episodi della seconda e della terza stagione: a mio parere sono state tra le puntate migliori di tutta la serie.Ora che sto lavorando a un progetto mistery per Mediaset, ho chiesto a un altro collega, di cui non farò il nome, di darmi una mano.
Il progetto era partito qualche tempo fa con la scrittura di una prima Bibbia (un papiro di un centinaio di pagine in cui si spiega la "rava e la fava" di una serie). La bibbia era piaciuta a Mediaset che, come accade di solito, aveva chiesto alcuni cambiamenti. Niente di drammatico, tranne che per una piccola richiesta che all’inizio era passata inosservata. Il problema, di cui poi mi reso conto, era che ottemperare a quella richiesta avrebbe significato re-impostare l’intera serie. Un bel problema inutile negarlo.Visto che il tempo incalzava ho soprasseduto, rimandando la questione, e ho chiamato per aiutarmi nella stesura dei soggetti di puntata altri cinque sceneggiatori tra cui l’autore di fumetti cui sopra. Nel suo campo lui è uno di quelli bravi - in questo momento, a mio parere, il più bravo di tutti - ed è la persona più creativa che io abbia mai conosciuto.
Oltre a noi due c’era Alberto Ostini (co-autore della prima Bibbia e mio inseparabile socio in tante imprese). Gli altri tre sceneggiatori provenivano dalla televisione: solidi professionisti della scrittura con molte ore di TV alle spalle.
Inizia la prima riunione. Il collega non parla. E’ strano: di solito è molto ciarliero. Lo guardo. Vedo che ascolta quello che noi diciamo. Ogni tanto prende appunti. Ho l’impressione che si stia tenendo tutto dentro. Noi ci affanniamo per trovare un rimedio al problema principale, lui tace.
Poi, all’improvviso, si alza ed espone in poche parole l’idea su cui aveva rimuginato fino a quel momento. Noi restiamo attoniti: ci coglie di sorpresa e ci spiazza. Non avevamo visto la cosa sotto quella prospettiva. Però sì, funziona e ci permette di salvare capra e cavoli: di accontentare Mediaset e di mantenere in piedi l’intero impianto della serie.
Perché racconto questo aneddoto? Perché molti anni fa quando ho cominciato a scrivere per la televisione sono stato preso un po’ sottogamba: - Che hai scritto fino ad ora? Fumetti? - seguiva smorfia.
Ancora oggi è così. I produttori e gli editor delle reti credono che uno sceneggiatore di fumetti sia uno sceneggiatore di serie B: preconcetto del tutto sbagliato.
Un autore di fumetti che, per esempio, lavori da anni per una casa editrice come la "Sergio Bonelli Editore" ha un bagaglio tecnico immenso, forgiato da anni di storie e di duro lavoro. Il lavoro seriale velocizza la mente e aiuta la creazione. Scrivere fumetti è una grandissima palestra: ti insegna i meccanismi della narrazione e ti fa entrare direttamente nel luogo in cui le storie si fabbricano: ti mette a contatto con gli archetipi che stanno alla base di ogni racconto e con i generi. O credete davvero che molti autori di fumetti americani come Jeph Loeb o Paul Dini lavorino per caso in serie di grande successo come “Smallville”, “Heroes” o “Lost”?
Nella mia carriera di fumettaro ho inventato e scritto circa 150 storie: uno sceneggiatore televisivo scrive - se lavora molto - due o tre sceneggiature l’anno. Forse è anche per questo motivo un qualunque albo Bonelli è migliore e più avvincente della maggior parte della fiction prodotta in Italia.
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