Il sasso ha generato cerchi, non così numerosi come avrei desiderato. Le posizioni sono sostanzialmente tre. Quella del signor Pascale che difende la necessità di un’organizzazione per dare forma alle idee, quella del signor Bruscia che difende la bontà del suo partito, il PD, quella dei disillusi che vedono nella partitocrazia un male da estirpare. Tutti questi punti di vista sono legittimi. La difficoltà consiste nel trovare una soluzione per far convergere in un punto le diversità. Una prima base di partenza è dimostrare tolleranza verso coloro che sono stanchi, che hanno smesso di votare, che sono disgustati dalla politica (una bella fetta di torta elettorale). Il frettoloso giudizio di superficialità e qualunquismo che spesso esce dalle bocche dei vari politici a sinistra, non aiuta a comprendere i motivi di questo malessere, anzi li esaspera. Come si è comportata la politica ultimamente? Non basta mostrarsi alle telecamere, spalando il fango per dichiararsi diversi (oltretutto ricorda altra pessima propaganda). Occorre, come dice giustamente il signor Dzei, mettere in piedi una serie di strumenti che possano creare quella democrazia partecipata che tutti auspicano e che nessuno vuole. Federalismo e referendum propositivi senza quorum, ad esempio. Una riduzione sensibile degli stipendi degli eletti, mandati a tempo determinato, eliminazione dei benefit e dei vitalizi, elezione diretta dei rappresentanti ecc ecc. Questi sono i segni che potrebbero essere significativi per dimostrare un reale cambiamento. Abbiamo appreso di recente che alla Camera la proposta sostenuta dal deputato, Antonio Borghesi (IdV), di abolire il vitalizio dei parlamentari dopo cinque anni di mandato effettivo (da un minimo di 2.486 euro a un massimo di 7.460, il triplo dei colleghi europei), solo 22 persone si sono dette a favore, 498 hanno votato contro (compreso il nostro Roberto Nicco). Come si può, dunque, criticare chi sostiene che sono tutti uguali? Non c’è forse una responsabilità tutta politica in questa crepa che si è generata fra la cosidetta casta e il Paese reale? Non sarebbe più opportuno ascoltare la confusione, l’insicurezza, l’incazzatura di questi indignati apartitici che sanno comunque generare un movimento di opinione? Non sarebbe più opportuno cominciare a farsi da parte per lasciare lo spazio alle nuove generazioni, accettando anche i rischi che questo comporta? (Dopotutto i vecchi politici non è che ci hanno lasciato il paradiso). Trincerarsi nelle proprie sicurezze, come fa la vecchia classe politica, è segno di grande debolezza
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