Non sempre un caffè può durare abbastanza per un ricordo, ma insieme ad un sorriso ad una faccia amica, ad uno sguardo in questo curioso ed accogliente locale c’è né abbastanza per raccontarvi di Janek, orfano e partigiano nella Polonia occupata dai nazisti…
Educazione europea, romanzo d’esordio di Romain Gary, pseudonimo di Romain Kacev, fa parte di quei “romanzi della resistenza” che ho divorato da ragazzino nell’esigenza consapevole ma mai ammessa di rivivere l’atto di ribellione contro un nemico che all’epoca mancava.
Se la corrente italiana del realismo socialista soddisfó in un primo momento questa necessità, mi ritrovai abbastanza presto a preferire l’umano all’eroico, la cronaca alla tragedia.
In ossequio all’appetito lupigno che contraddistingue un ragazzetto appena maggiorenne i miei gusti si orientarono verso la carne viva dell’uomo piuttosto che verso il bronzo dell’eroe custodito nel museo.
Ritrovarmi fra le mani il romanzo di Kacev mi ha ricordato il sapore di quei bocconi, quella sensazione di addentare – giacché gli occhi del lettore sono le fauci del goloso – qualcosa che ha sapore e che vive al di fuori della pagina scritta.
Educazione europea è un romanzo di formazione. La linea narrativa alterna le vicende del giovane Janek e la vita del gruppo partigiano scandita dalla fame e dalle vicende personali, dall’amore mercenario e dalla forza consolatoria del mito e del racconto. Non vi è infatti solo la figura dell’inafferrabile partigiano Nadejda, combattente leggendario che da solo incarna lo spirito di una nazione, ma anche il focolare, momento in cui il gruppo partigiano si fa famiglia. Ed il focolare é troppo umano e ristretto per ammettere la presenza degli eroi e dei miti. “Accanto al focolare solo pari, per cortesia” sembra sussurrare lo studente Dobraski mentre ci racconta di colline parlanti, borghesi parigini e corvi necrofagi.
Questi racconti nel romanzo vivono nel fuoco e ne seguono il tempo, si spengono all’esaurirsi del tizzone ma covano sotto la cenere, pronti a riemergere se ravvivati, se ricordati. Fenici miniate, concessioni all’immortalità in un romanzo dove la morte ricorre di continuo.
E’ in questo mondo che Janek procede forzatamente verso una maturità sofferta ma innegabilmente vissuta, che lascerà affiorare nel suo imo una dolorosa consapevolezza:
“In Europa abbiamo le cattedrali più antiche, le più vecchie e celebri università, le più grandi biblioteche, ed è qui che si riceve l’educazione migliore, sembra che vengano da tutti gli angoli del mondo in Europa per istruirsi. Ma alla fine, quel che ti insegna tutta questa famosa educazione europea è come trovare il coraggio e delle buone ragioni, valide e convenienti, per ammazzare un uomo che non ti ha fatto nulla e che se ne sta seduto sul ghiaccio con i pattini a testa china, aspettando la fine.”
E’ con questa riflessione affidata ad uno Janek quindicenne e ormai uomo contrapposto ad un Dobraski venticinquenne ed idealista che l’autore ci lascia.
Possiamo dolerci per la perdita dell’innocenza ed anzi, saremmo quasi tentati di voler noi stessi attribuire a Janek l’idealismo di Dobraski, quella speranza che vorremmo i bambini avessero nel futuro, il diritto alla serenità di un’illusione, ma Kacev rifiuta ogni ipocrisia che possa in qualche maniera velare la guerra e la maturità che ne consegue.
Ed in merito a ciò, mi viene da pensare che una riflessione amara e cinica rispetto ad un idealismo poggiato sui morti della fazione opposta possa sì provocare sofferenza, ma ne possa alla fine scaturire un essere umano migliore.
Educazione Europea di Romain Gary (trad. Mario Nardi), ed. Neri Pozza, 2006.