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TRAMA Nick Carraway è un modesto agente di borsa che arriva nei pressi di New York, dove abita anche sua cugina Daisy, e affitta un cottage nella proprietà del ricchissimo Jay Gatsby: un uomo misterioso che ogni settimana dà delle sontuose feste a cui partecipa tutta New York. Una sera Nick conosce Gatsby, che gli chiederà il favore di fargli incontrare la cugina, Daisy. Gatsby vuole infatti a tutti i costi riconquistare questa donna, oggi sposata e un tempo suo amore di gioventù. RECENSIONE Innanzitutto si può dire che entrambi i film sono molto fedeli al celeberrimo romanzo di F. Scott Fitzgerald, ma pur presentando la stessa durata, quello di Luhrman si prende più libertà rispetto alla fonte letteraria, aggiungendo come prima cosa una cornice inedita, quella del flashback del narratore ricoverato in una clinica psichiatrica, e soprattutto, il regista australiano dilata di tempi dedicati agli sfavillanti festeggiamenti a scapito di alcuni snodi narrativi o dell’approfondimento di alcuni personaggi che ha preferito eliminare o limitare: è il caso del padre di Gatsby, qui assente, o del personaggio di Myrtle, notevolmente ridotto; così come è stata tagliata la relazione tra Nick e Jordan; infine manca un’ultima cruciale scena che nel film di Clayton dipingeva meglio il carattere di Daisy. Le opere di Fitzgerald, uno degli autori letterari più importanti della letteratura americana, sono sempre risultate difficili da portare sullo schermo e nonostante lo sforzo di grandi registi, sceneggiatori e attori, gli adattamenti dello scrittore si sono sempre rivelate megaproduzioni curatissime ma poco emozionanti: da L’ultima volta che vidi Parigi (1954, di Richard Brooks, con Elizabeth Taylor) fino a Gli Ultimi fuochi (1976, di Elia Kazan con Robert De Niro) risultano delle opportunità sprecate. Solo Luhrman è riuscito a restituire alle pagine di Fizgerald un vortice di immagini, emozioni, sogni e bassezze ben adattandole a un pubblico attuale. Ma veniamo alla qualità delle due pellicole: ciò che la maggior parte della critica ha rimproverato al film di Luhrman era perfettamente riscontrabile nel film di Clayton: un sontuoso involucro che si rivela vuoto come il mondo che Fitzgerald voleva criticare, con personaggi che non convincono e non coinvolgono. Qui al contrario, i personaggi di Fitzgerald tornano in vita: il Gatsby di DiCaprio è molto più vero di quello dell’ingessato Redford: si arrabbia, piange, si scompone e poi ricompone, e non smettere di credere nel suo sogno, coinvolgendo e convincendo lo spettatore. Anche il narratore-testimone di Nick Carraway qui si fa più interessante, grazie anche alla prestazione di un Tobey Maguire più espressivo del solito. Più difficile l’opinione su Daisy, personaggio ambiguo per eccellenza: qui umana, troppo umana grazie alla lacrimosa e sempre efficiente Carey Mulligan. La Daisy di Mia Farrow trasmetteva meglio la sgradevolezza del personaggio che Luhrman e il suo fidato sceneggiatore Craig Pearce hanno voluto, smorzare rendendo l’ossessione di Gatsby più comprensibile ma allo stesso tempo riducendo la feroce critica sociale di Fitzgerald. Nella sceneggiatura dunque Craig Pearce e Luhraman battono nientemeno che Francis Ford Coppola, che ha recentemente dichiarato che Clayton non seguì per nulla la sua versione, DiCaprio & co; co battono Redford & co; co e poi c’è l’aspetto visivo e musicale, come sempre sfavillante in Luhrman. Meno Kitsch, barocco e originale rispetto ai suoi due titoli più famosi, il Grande Gatsby riesce comunque a creare un grande spettacolo per gli occhi in un tripudio di colori e un montaggio frenetico, che finisce per diventare a tratti perfino fastidioso con delle zoommate troppo repentine. Nulla a che fare con la versione patinatissima, leccata e lenta del film di Clayton.
Per quanto riguarda l'aspetto musicale, Luhrman straccia la colonna sonora jazz di Clayton on un mix anacronistico di jazz, hip hop, tecno e pop, non sempre riuscito e lontano dall'irripetibile Moulin Rouge!, ma comunque memorabile almeno nel brano che fa da leit-motiv del film, la sublime Young and Beauitful di Lana del Rey degno premio Oscar dell'anno prossimo. Solo per quanto riguarda le location si può preferire la versione di trent’anni fa: decisamente meglio infatti le location reali rispetto all’opulente castello luhrmaniano creato interamente in post-produzione. Troppi sono gli elementi creati in post-produzione con effetti digitali da videogioco di serie B, ma nel guazzabuglio barocco di Luhrman sembra un difetto minore. Curioso che, pur essendo ambientata a New York e dintorni, la versione del regista inglese fu girata in gran parte in Inghilterra, mentre Luhrman ha preferito girare molte riprese nella sua Australia. Concludendo: la versione del 1974 appariva didascalica, troppo patinata e priva del respiro del romanzo di Fitzgerald, mentre Luhrman riesce a infondere nuova linfa al classico di Fitzgerarld.
VOTO VERSIONE 1974: 6 VOTO VERSIONE 2013: 8,5
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