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I LIBRI DEGLI ALTRI n.5: Vitam impendere amori. Renzo Paris, “La banda Apollinaire”

Creato il 31 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da giuseppepanella su maggio 31, 2012

I LIBRI DEGLI ALTRI n.5: Vitam impendere amori. Renzo Paris, “La banda Apollinaire”
Vitam impendere amori. Renzo Paris, La banda Apollinaire, Matelica (MC), Hacca Edizioni, 2011

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di Giuseppe Panella*


Guillaume Apollinaire (al secolo Guglielmo Vladimiro Alessandro Apollinaire de Kostrowitzky – come annota con acribia proprio Renzo Paris) è tra i poeti più importanti della tradizione poetica del Novecento. Quello che conta nella sua produzione letteraria, in realtà, non è tanto quello che ha scritto ma il modo in cui l’ha fatto. Con la sua opera l’idea di una separazione possibile tra vita e poesia, tra esistenza e arte, già incrinata in modo radicale dai grandi poeti maudits della fine Ottocento (tra Verlaine e Mallarmè ma soprattutto attraverso Rimbaud) scompare nettamente portando finalmente il concetto di avanguardia letteraria al suo culmine. L’impatto che Apollinaire avrà sulla successiva storia della poesia del Novecento è straordinario e probabilmente non compiutamente analizzato e spesso difficilmente distinguibile da quello di altri autori a lui contemporanei (il caso di Picasso è certamente esemplare al riguardo ma anche autori come Aragon e Breton, poi approdati a posizioni politiche e culturali molto diverse e divaricate, gli debbono molto più di quanto avrebbero ammesso in seguito). Scrivendo delle Lettres à Lou (uno dei testi finali del corpus poetico di Apollinaire redatte tra il 28 settembre 1914 e il 18 gennaio 1916), proprio Paris dichiara con grande autorevolezza che il ruolo dell’artista e dello scrittore è stato profetico:

«Anche Calligrammes, dove utilizzerà pochissimi di questi versi, sembra ancora dentro la nuova convenzione della poesia d’avanguardia. Qui il poeta si è liberato del progetto, della poetica o meglio ha voluto immergere quel progetto, quella poetica nella vita amorosa e di guerra, sfigurandola e, questa volta, senza più chiedere perdono ai Classici per aver dimenticato l’antico gioco dei versi. Quanta poesia italiana del Novecento è dentro questo gorgo prosastico. Penso all’ultimo Montale, all’ultimo Pasolini, quello delle poesie pratiche, senza scomodare il suo amico Ungaretti, Palazzeschi, persino Campana. I poeti francesi del Novecento invece lo hanno dimenticato, se si eccettuano i suoi amici, tra tutti Cocteau e Prévert. Non Breton, non Aragon e nemmeno Eluard possono dirsi, nonostante i debiti contratti, apollinairiani. Lo hanno incasellato come l’ultimo poeta dell’Ottocento, senza considerare che quel delirio lirico nasceva dalla poesia più antica, attraversava a ritroso i secoli» (p. 202).

In realtà, Apollinaire fu il primo dei grandi poeti del Novecento. Con lui la liberazione dagli aspetti formali, più polverosi, più invecchiati della tradizionale scrittura lirica inizia e raggiunge momenti importanti, spesso decisivi: l’utilizzazione degli artifici grafici che lo portavano oltre la pagina mediante il calligramma caratteristico di una delle sue raccolte più famose, la negazione del valore della punteggiatura, l’uso di parole e situazioni forti dal punto di vista erotico in poesia ne hanno fatto un precursore di quei movimenti letterari (come il Futurismo con Filippo Tommaso Marinetti) che aveva tenuto a battesimo. Inoltre i temi della sua partitura poetica si intrecciano, spesso indistricabilmente, con la musica e soprattutto con la rivoluzione pittorica (il cubismo di Picasso e Braque, l’orfismo di Delaunay) su cui ha redatto un testo saggistico ancora oggi di grande utilità.

«Il Cubismo ebbe fortuna anche in altri paesi europei e dovunque suscitò scandalo. Non era un’arte dell’imitazione, ma un’arte concettuale che tendeva alla creazione più che all’imitazione. Apollinaire divise il Cubismo in quattro tendenze: il Cubismo scientifico, con il capofila Picasso, il Cubismo fisico, il Cubismo orfico, il più lontano dalla realtà visiva, e infine il Cubismo istintivo. Il padre dei nuovi pittori non era Cézanne ma Courbet e il Fauvisme fu una specie di introduzione al Cubismo vero e proprio. Il saggio termina parlando della tensione verso la bellezza e l’energia dei nuovi pittori, inventori della luce e del fuoco. […] Come il poeta che scrive sotto dettatura di una voce antica, anche il pittore muove la sua mano come uno strumento guidato da una divinità antica. I pittori e i poeti non sono certo degli dei ma possono passare per uno di loro proprio perché sono in ascolto delle divinità e dipingono con qualsiasi materiale, dalla merda di Pontormo alle cartoline, ai pezzi di giornale di Braque » (p. 167).

La vita di Apollinaire (così come viene fuori da questo romanzo-saggio) potrebbe appartenere alle pagine di qualcuno dei suoi romanzi e alla sua nascita a Roma Renzo Paris dedica alcune delle pagine più belle e genuine della sua fatica biografica. Nato nello stesso palazzo dove abitò Agostino Depretis, l’insigne padre politico del “trasformismo parlamentare”, quando era Ministro dell’Interno (dal 1882 al 1887), vissuto a Roma dove era stato messo a balia presso la signora Molinari in Baldo, domiciliata in Trastevere e registrato con il cognome di Dulcigni, una delle onomatopee tanto casuali quanto profetiche con cui venivano designati i figli di padre non noto (n. n. – come recitava la feroce burocrazia dell’anagrafe), Apollinaire è stato romano solo sette anni prima di passare al Principato di Monaco dove la madre frequentava il locale Casinò non tanto per vincervi al gioco quanto per adescare o approfittare di qualche ricco protettore amante delle belle donne. La vita di Guillaume sarà così fin dal principio randagia e, dopo l’educazione sommaria al Collegio Saint-Charles (finché rimase aperto) e poi al Collegio Stalinas (da cui sarà espulso per avervi introdotto la lettura delle opere proibitissime del Marchese de Sade), troverà una sede tanto stabile quanto fondata sulla sua inarrestabile erraticità solo a Parigi dove la madre sarebbe vissuta sotto la vigile protezione del giovane e ricco ebreo Jules Weil. Nella Ville Lumière Apollinaire tenta la fortuna e cerca, sempre con grande difficoltà, di vivere con la forza seduttrice della sua penna. Nasce in questo periodo di vita avventurosa e spesso priva di sostegno economico la prima produzione letteraria del mail aimé (titolo di una delle sue poesie d’amore più belle e frutto del secco rifiuto di una ragazza inglese, Annie Playden, da lui conosciuta quando fece il precettore presso una nobile famiglia in Germania dove la donna, invece, svolgeva il compito di governante). Non rifiutato ma accolto con riserva, invece, Apollinaire sa, invece, dalla pittrice cubista Marie Laurencin con cui avrà una lunga relazione la cui soddisfazione sentimentale (e sessuale) sarà scarsa. Apollinaire aspirava ad avere una storia d’amore meno combattuta con una donna che gli fosse totalmente sottomessa (lo stesso leit-motiv si ripeterà nei rapporti successivi a partire dalla relazione con Lou / Louise de Coligny-Chatillon e con la professoressa maghrebina Madeleine Pagès per concludersi con il matrimonio durato ben poco con la pittrice e infermiera Amelia Emma Louise Kolb che voleva, però, essere chiamata soltanto Jacqueline). Nonostante la pubblicazione dei Calligrammes che rappresenta il punto più alto della sua produzione poetica (dal punto di vista innovativo ed espressivo con la rottura dell’equilibrio tra pagina compiuta e testo scritto e l’invasione del visivo all’interno della dimensione di ciò che sarebbe dovuto rimanere circoscritto alla parola), l’esprit nouveau auspicato da Apollinaire in una sua importante conferenza non è solamente distruzione del passato (coma avrebbero voluto gli incipienti Surrealisti) né espressione del rifiuto di quello che costituiva la sostanza della tradizione. Le Poète assassiné è sempre in bilico tra passato e futuro:

«Lo spirito nuovo è nemico dell’estetismo e dello snobismo e non vuole essere una scuola. La conferenza sullo spirito nuovo segue tutta una serie di altre conferenze sulla poesia vivente, sulla poesia tattile, che Apollinaire non si negava. I poeti attendevano una parola nuova e terribile dopo il dramma surrealista che aveva così tanto scandalizzato [e cioè Les Mamlles de Tirésias del 1917] ma apo perferì il buon senso, coniugando il meglio dell’arte del passato con il lirismo contemporaneo, irritando il giovane Breton che parlerà dell’inutilità di tutto quel rumore che si era fatto attorno al nome del poeta soldato, tornato fervente nazionalista. Infastidiva l’abbandono delle soluzioni formali radicali, ma a ben vedere Apollinaire non si era mai voluto radicale, estremo. Lo spirito nuovo era quello dell’Orfismo, come lo chiamò da ultimo, contro il Naturalismo fotografico, preferendo anche il nome di Surnaturalismo nella presentazione del balletto Parade» (pp. 226-227).

Biografia appassionata e simpatetica, a tratti ironicamente proiettata sul presente, lucidamente e quasi selvaggiamente onirica nella rievocazione del percorso esistenziale del suo autore, il libro di Paris rende lucidamente conto delle contraddizioni presenti da sempre nelle avanguardie (e non soltanto di quelle legate al fondamentale periodo storico di inizio Novecento).

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)


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