uccelli migratori
Una sola parola può valere più di decine di libri fatti per interessare, per divertire o per qualsiasi altro motivo. La parola è immediata, penetra nell’anima, la può anche devastare se è sbagliata o esaltare come una sorgente di acqua fresca, che scopri all’improvviso in un sentiero.
Perciò amo la parola, quella giusta, anche se è una e sola.
Abito a Partinico, vicino a una villa pubblica. Quando c’è vento sento le fronde che stormiscono, la forza dell’aria che attraversa la strada dove si affaccia la mia ‘palazzina’, mi stupisco del coro musicale dei suoni del vento con i loro alti e bassi, come se volessero raccontare la storia antica del mondo. Sento anche sulla pelle la forza protettiva della mia casa, ascolto il fischio che i muri esterni, i balconi, le pensiline emettono quando tagliano o frenano il vento furioso.
Ma quando non c’è vento, prima dell’alba, ascolto sempre la voce di un solo uccello che inizia a far sentire le prime ‘sillabe’ del suo cinguettìo: un suono nitido, deciso a monosillabi. E’ come una preghiera, un rito mattutino che si ripete ogni anno verso la primavera.
Poi la sua solitudine cessa, e lentamente, come se dessero il segnale di aver capito, altri uccelli rispondono al primo richiamo. E da qui inizia una confusione di voci, un parlottare continuo, sempre più acceso, sempre più musicale. Fino a quando l’intero stormo, come la musica di un’orchestra fatta da migliaia di elementi, vola via nel cielo per disperdersi e per incontrarsi di nuovo al tramonto. Ciascuno di voi è come quella voce solitaria che origina un’orchestra, amici di Facebook che ieri, a centinaia, mi avete scritto la semplice parola: “Auguri”.