Qui si parla di suicidio. Di persone che non ce la fanno più a vivere, anche se poi guardando alla loro vita non si riesce nemmeno a capirne il motivo. O almeno non ci riesce Yoli, che si ritrova a dover accudire la sorella Elf, pianista di fama internazionale ora ricoverata in ospedale dopo aver tentato di togliersi la vita. Non capisce perché una donna così perfetta, così amata, non riesca ad affrontare la fragilità che prova dentro di sé. Che sia colpa dell’educazione mennonita ricevuta in passato e alla quale lei si è sempre ribellata? O di quelle altre grandi tragedie che hanno colpito la loro vita e che forse, anche loro, non sono riuscite a capire? Non lo sa, Yoli. Così come non lo sa sua madre, né la zia Tina, che in una situazione simile ci è già passata una volta. Le tre, insieme a Nic, marito di Elf, cercano di farle capire quanto sia bello vivere e quanto dolore stia causando con questa sua fissa di voler morire. Elf capisce. Capisce il dolore della madre e quello della sorella. Ma il suo dolore è ancor più grande, forse proprio perché inspiegabile. E quindi chiede alla sorella di accompagnarla in Svizzera, a morire assistita. Che farà Yoli? Che farei io? Che fareste voi?
Ma qui si parla anche, e soprattutto, di famiglia e di amore. Di quanto sia dura lasciare andare le persone che si amano e poi riuscire comunque a sopravvivere dopo. Di quanto il dolore possa unire o anche solo far capire quanto uniti si fosse già.
Miriam Toews è bravissima nel caratterizzare i suoi personaggi: la fragile Elf, che vorresti scuotere per tutto il libro ma di cui al tempo stesso comprendi la sofferenza e la precarietà; la scapestrata Yoli, che avuto due figli con due uomini diversi e ora non è più sposata con nessuno dei due, che cerca di scrivere il libro della vita e ora si ritrova suo malgrado a dover pensare se accompagnare sua sorella a morire; la fantastica madre e la fantastica zia Tina, che cercano di godersi ogni piccola cosa bella della vita, senza pensare a tutto il dolore che hanno provato. E con loro tutti i personaggi di contorno, le amiche di Yoli e quelli incontrati per caso, che hanno uno scopo anche se compaiono solo in poche righe.Così come mi è piaciuta molto tutta la letteratura, tutte le citazioni presenti tra le pagine, a partire dal titolo, I miei piccoli dispiaceri di Samuel Coleridge, e tutto il potere che viene dato ai libri, nel bene e nel male.
Bene, Elf, ho pensato, sei davvero furba. Fare in modo che ti lasci sola col pretesto di mandarlo a prendere dei libri. In biblioteca. Ovvio che l’avrebbe fatto. I libri sono quello che ci salva. I libri sono quello che non ci salva.Amo questa autrice. La amavo già prima, in realtà, e ora ne ho avuto la conferma. Amo il suo stile umoristico e profondo. Amo il suo modo di trovare la poesia nelle piccole cose, così come il suo affrontare il dolore attraverso la scrittura, senza piangersi addosso e senza facili (e comprensibili) compatimenti.
Non voglio soffermarmi su cosa farei io se mia sorella o mio fratello non volessero più vivere e mi chiedessero di aiutarli. Onestamente non so, perché ogni fragilità, ogni dolore sono storie a sé, in momenti a sé, un momento a sé, e per me non ha senso ragionarci se non ci sono dentro veramente.
E poi, non sono nemmeno sicura sia questo ciò che l’autrice vuole che il lettore faccia. Secondo me ha voluto solo farci capire che ci si deve voler bene sempre e comunque, senza giudicare, che tu abbia fatto figli con qualunque uomo della tua vita o abbia una voglia inspiegabile e incomprensibile di toglierti la vita. Si deve cercare di capire, di accettare, litigando e urlandosi contro magari, e di vivere ogni singola emozione, bella o dolorosa che sia, che l’essere al mondo ci regala ogni giorno.
Titolo: I miei piccoli dispiaceri
Autore: Miriam Toews
Traduttore: Maurizia Balmelli
Pagine: 365
Editore: marcos y marcos
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formato brossura: I miei piccoli dispiaceri