Magazine Religione
San Basilio e i monaci orientali
di Rossana Martorelli
L’archeologia cristiana parte convenzionalmente dalla nascita di Cristo e arriva fino a Papa Gregorio Magno, nel VI-VII secolo, un personaggio che ha avuto un ruolo importante anche in Sardegna. L’archeologia medievale si fa iniziare convenzionalmente dall’occupazione dei Vandali, alla metà del V secolo, e si conclude con la scoperta dell’America, alla fine del XV secolo, in quanto la scoperta del nuovo mondo sposta il baricentro economico dal Mediterraneo all’Atlantico.
Betlemme e Gerusalemme sono i centri interessati alla nascita e morte di Cristo e proprio in quest’ultima città si forma la prima comunità cristiana, con discepoli e apostoli che iniziano a viaggiare e a portare le idee ovunque. Emblematici sono Pietro e Paolo, che moriranno a Roma. Paolo compì 4 viaggi missionari che lo portarono a visitare il Mediterraneo orientale e buon parte di quello Occidentale. Secondo una diffusa tradizione, ma assolutamente priva di fondamento, il Cristianesimo sarebbe arrivato in Sardegna proprio con San Paolo che, navigando verso la Spagna, avrebbe toccato il porto di Cagliari introducendo il cristianesimo. Quando inizia la vicenda di Cristo, il Mediterraneo era interamente compreso nell’impero romano. Anche l’Europa era romana, tranne parte delle attuali Germania, Ungheria e Russia, ossia i luoghi da cui partiranno le popolazioni barbariche che porranno fine all’impero romano. Cristo nacque quando era imperatore Augusto e morì sotto l’impero era nelle mani di Tiberio. La Sardegna era una delle province romane e quindi assorbì gran parte delle idee religiose del cristianesimo, andando a sostituire le precedenti divinità pagane. Già all’epoca di Tiberio abbiamo la prima diffusione delle idee cristiane in Sardegna. Fonti antiche segnalano una colonia di ebrei e di seguaci del culto egizio di Iside deportata in massa in Sardegna. Il cristianesimo nasce nell’ambito della comunità ebraica; pertanto è verosimile che proprio tramite questo primo nucleo di ebrei arrivati nell’isola sia stato introdotto nei pensieri delle comunità sarde. Abbiamo testimonianze archeologiche di questa comunità ebraica, come ad esempio una lucerna con la rappresentazione del candelabro ebraico. In Sardegna venivano anche deportati i condannati ai lavori forzati per lavorare nelle cave di granito e nelle miniere, forse a Metalla. Sotto l’imperatore Commodo, infatti, abbiamo fonti che parlano di una grande quantità di cristiani che furono deportati in Sardegna, fra i quali Papa Callisto, poi liberati dalla concubina dell’imperatore, simpatizzante per i cristiani, che convinse le autorità a far ritornare molti di questi cristiani.
Le fonti dicono che Ponziano, papa vissuto alla metà del III secolo, fu deportato “in un’insula nociva presso l’isola di Sardegna”. Ponziano è uno dei due papi che hanno conosciuto il proprio successore (l’altro è Celestino V), poiché quando fu deportato, per non lasciare i cristiani senza una guida, rinunciò al suo mandato e fu sostituito da Fabiano. Quest’ultimo, alla morte di Ponziano, si recò in Sardegna per prenderne le spoglie e trasferirle in una catacomba romana, quella di Callisto. L’epigrafe della lapide funeraria è scritta in greco e recita Pontianos Episcopos.
Al 314 risale la più antica testimonianza certa della presenza di cristiani in Sardegna. L’antica Karales aveva un vescovo di nome Quintasio, capo di una chiesa locale, e di un prete, Ammonius, che partecipò insieme al vescovo, ad un concilio indetto dall’imperatore Costantino ad Arles, in Francia, per discutere una delle tante eresie che si stavano sviluppando in quel periodo. Il cristianesimo si diffonde prima nelle città portuali, quelle che hanno più contatti con l’esterno. In un cubicolo sotterraneo scavato nel cimitero di Bonaria a Cagliari ci sono delle pitture murali, oggi quasi completamente scomparse, che fortunatamente furono copiate da archeologi della fine dell’Ottocento. La prima scena raffigura il mito di Giona, tratto dall’Antico Testamento. Il profeta aveva ricevuto da Dio il compito di andare a convertire all’ebraismo gli abitanti della città di Ninive, ma Giona si rifiutò e si imbarcò clandestinamente su una nave che, una volta in mare aperto, si imbatté in una tempesta. Gli antichi pensavano che le calamità naturali fossero una punizione di Dio e, scoprendo Giona, gli attribuirono le colpe e lo gettarono in mare. Giona venne inghiottito da un mostro marino, rimase tre giorni nella sua pancia ma poi viene rigettato fuori e decise di andare a compiere la missione. Evidenti sono le analogie con Cristo, incaricato di compiere una missione, nel sepolcro per tre giorni e poi risorto.
Nell’altra scena si vede una barca alle prese con una tempesta. Alcuni individui cercano faticosamente di salire su una passerella, ma non tutti riescono nell’impresa. Nella simbologia antica la barca è la Chiesa e riuscire a salire sulla barca significa salvarsi, ma non tutti riescono ad essere dei buoni cristiani, ossia non si comportano secondo i principi cristiani. Probabilmente questa immagine è stata eseguita nel periodo di passaggio fra paganesimo e cristianesimo, quando c’era indecisione.
La Basilica di San Saturnino nasce a Cagliari su una necropoli prima pagana e poi frequentata dai cristiani. Alla città di Cagliari si lega in parte anche la vicenda di S. Efisio. Nella sua prigione (il cd. “Carcere di Sant’Efisio”) c’è una colonna e la tradizione vuole che le catene che legavano il santo fossero proprio incernierate in questa colonna, come a Roma, dove è la colonna alla quale si ritiene fosse legato San Pietro. Altri santi antichi sono San Lussorio, a Fordongianus, dove nella cripta sotto la chiesa attuale sono i resti delle tre sepolture che si pensa fossero di Lussorio, Cesello e Camerino, legati dai documenti agiografici agli antichi cristiani. Nell’epigrafe murata su un fianco della chiesa si legge: “qui si sparse il sangue del beatissimo Lussorio”.
Porto Torres è legata, invece, alla memoria del suo martire San Gavino ma dalle fonti apprendiamo che ne ebbe altri due (Proto e Ianuario).
I martiri sono coloro che pur di non rinunciare alla propria fede hanno sacrificato la vita. Nella cristianità antica si conoscono anche i traditori, i cosiddetti “lapsi”, ossia coloro che per salvare la propria vita all’ultimo momento hanno dichiarato di non essere cristiani. Ci sono anche i “confessori”, persone che hanno salvato la vita per condizioni indipendenti dalla loro volontà, magari perché finiva la persecuzione. Ogni religione ha questi martiri, poi diventati oggetto di culto. e attorno alle tombe di questi personaggi furono costruite delle chiese, monumentalizzate ed eseguite delle pitture. I pagani avevano il loro eroe Ercole, i cristiani i martiri. Oltre i martiri ci sono i santi, ossia coloro che, pur non essendo legati ad un martirio, vivono una vita esemplare e muoiono di malattia o di povertà, non necessariamente uccisi. Anche in questi casi si parte da una semplice tomba, attorno alla quale poi si fa un percorso per agevolare il passaggio dei pellegrini per la preghiera, poi si edifica una chiesa, che funge da polo di attrazione per la comunità e gradualmente si formano villaggi e città.
Le religioni hanno al loro interno una simbologia ben precisa: fra i cristiani sono diffuse le croci e il pesce, simbolo di Gesù perché nel II secolo era stato composto in Asia Minore un poemetto che inneggiava al Cristo, alla resurrezione e ai concetti principali del cristianesimo nascente. Le lettere iniziali di tutti i versi, lette in verticale davano la scritta “ichtys”, termine greco che indica “pesce”. Ancora oggi “ittico” indica tutto ciò che riguarda i pesci e da allora, quando si voleva rappresentare simbolicamente il Cristo, si ricorreva all’immagine del pesce. Siamo in un periodo in cui la religione cristiana è ancora illecita e si sente la necessità di creare una sorta di codice di lettura. Ci sono anche marchi di fabbrica, generalmente in ceramica, per pani eucaristici, utilizzati per la comunione, come ad esempio quello ritrovato in un piccolo centro vicino a Cabras, San Giorgio. Oggi non c’è più ma sono stati ritrovati i resti di una chiesa e di un archivio. In questo oggetto c’è un individuo con l’aureola e la scritta intorno ci dice che è San Giorgio. Allora non esistevano le ostie e la comunione veniva data con dei pezzi di pane, come si fa ancora oggi in Grecia e in quei luoghi dove si svolge la liturgia ortodossa bizantina.
Nel V secolo l’impero romano si disgrega e rimane solo la parte orientale. I Vandali, dal nord Europa, passano attraverso la Francia, la Spagna, lo Stretto di Gibilterra e conquistano l’Africa Settentrionale, forse fino ad Alessandria d’Egitto, formando un regno di cui farà parte anche la Sardegna che, quindi, si stacca dall’impero romano. L’isola rimarrà a lungo una provincia d’Africa.
I Vandali erano ariani, ossia cristiani che però non credevano a tutti i dogmi della Chiesa di Roma, ad esempio nella verginità di Maria e davano a Cristo un aspetto umano. I cattolici riconoscono tre entità consustanziali: Padre, Figlio e Spirito Santo ed è ciò che si recita nel Credo. Gli Ariani vedono il Figlio non all’altezza del Padre e prevaleva la parte umana. Inoltre non credevano nel papa e nei martiri.
Alcune popolazioni erano tolleranti, come i Goti, pur occupando l’Italia, non hanno mai creato problemi ai cattolici; invece i vandali, che non amavano combattere e non erano abili governanti, assunsero l’arianesimo come propria identità nazionale e condussero la loro politica mischiandola con la religione, prendendo una decisione rigorosa: chi non era ariano doveva lasciare il territorio. Fu così che circa 200 vescovi e fedeli africani furono mandati in esilio in Sardegna e poi in Corsica. Questa nuova ondata di religione cristiana che arrivò, e in parte si fermò a Cagliari, occupò anche l’interno dell’isola e diffuse nelle campagne il cristianesimo. Le zone più arretrate, lontane dalla città, ricevettero dunque un impulso da questi vescovi e si convertirono, mentre nelle vicinanze del Gennargentu, i Barbaricini mantennero il loro paganesimo per molto tempo ancora.
Vicino a Santa Caterina di Pittinurri (Oristano) c’è il complesso di Cornus con una chiesa, il battistero, la residenza del vescovo e una chiesa per le cerimonie funebri circondata dal cimitero. L’archeologia, con lo studio dei materiali, consente di datare queste strutture all’epoca dell’arrivo dei vescovi africani.
Giustiniano, imperatore di Costantinopoli, decise di eliminare i vandali e le altre popolazioni barbariche e di riconquistare i territori per ricomporre l’intero impero romano. La Francia e la Spagna rimasero comunque in mano rispettivamente dei merovingi e dei visigoti.
La Sardegna diventa bizantina ma fa parte della provincia d’Africa. Giustiniano ha tre linee di programma:
1)i confini erano estesi e bisognava proteggerli con l’impianto di una serie di fortezze. Una prima linea lungo il confine in Bulgaria, Ungheria, Romania, altre fortezze in Turchia (per difendersi dalla temibile Persia), lungo la Siria e in Africa settentrionale. In Sardegna dapprima si fortificano le città, che all’epoca erano portuali, e in seguito si protessero le vie principali, da Cagliari a Porto Torres e da Cagliari a Olbia passando per l’interno, quindi attraverso la Marmilla, la Trexenta e costeggiando il Gennargentu. La Sardegna era il granaio dal quale provenivano le derrate alimentari per l’esercito e nei prodotti agricoli possiamo inserire anche l’attività vinicola. Nelle zone collinari si praticava l’allevamento e si sentì la necessità di proteggere questa area strategica. Spesso si recuperarono le vecchie ville romane, che vennero assegnate a funzionari militari dell’impero bizantino. Oltre agli ufficiali e alle famiglie, nelle nuove fortezze si sistemò la guarnigione militare e tutti coloro, come coloni e agricoltori, che dovevano contribuire alle vettovaglie. Queste ville quindi avevano una duplice funzione: controllo militare della via e mantenimento delle attività agricole. Se i nemici fossero riusciti a forzare la prima linea difensiva bisognava sbarrare la strada con un’altra linea fortificata. Nasceva così una linea parallela di altre fortezze e postazioni di guardia.
2)Il secondo obiettivo era l’unificazione religiosa. Decise dunque di eliminare l’arianesimo e mettere tutto l’impero bizantino sotto l’autorità della Chiesa di Roma. Solo nel 1054 ci sarà la scissione fra bizantini e ortodossi. Il territorio fu completamente cristianizzato, anche se qualche sacca di paganesimo rimase comunque, soprattutto nei territori interni. In questo periodo si assisteva alla vicenda di Gregorio Magno, uno dei papi più importanti della storia. Nella sua opera di evangelizzazione cercò di raggiungere anche i luoghi più lontani, aiutandosi con messi che arrivarono fino all’Irlanda. In Sardegna si nota una fitta corrispondenza con il vescovo di Cagliari Gianuario, continuamente rimproverato da Gregorio perché non si preoccupava delle campagne. Pare che le sacche di paganesimo fossero numerose e che le zone interne non avessero una guida, facendo riferimento soprattutto ai Barbaricini che, come si legge negli scritti, adoravano pezzi di legno (totem) e pietre (menhir). È in questo periodo in cui si iniziò la costruzione di chiesette in campagna. Apparentemente isolate, fungevano da raccordo per i vicini paesi e per le ville dei militari. A volte all’interno delle ville abbiamo ambienti adibiti a luoghi di culto.
3)L’ultimo aspetto fu quello di scrivere un corpus di leggi, il Corpus iuris civilis, ancora oggi alla base del diritto che studiamo noi, e applicarlo a tutto l’impero.
La Sardegna rientra nei due primi filoni: la militarizzazione delle postazioni con gestione anche economica del territorio, e la cristianizzazione con l’edificazione di diverse chiese campestri. Fra le chiese costruite nel periodo bizantino in Sardegna si ricordano San Saturnino e San Giovanni a Tharros. L’arrivo degli arabi fu un grosso problema per l’impero bizantino. Questo popolo partì dalla penisola araba agli inizi del VI secolo indirizzandosi verso il Mediterraneo, considerato il baricentro economico del mondo antico. Conquistò Gerusalemme, Damasco, altre terre nel medio oriente, puntando su Costantinopoli, ma le imponenti fortificazioni della città erano invalicabili. Si indirizzarono allora verso l’Africa settentrionale, arrivando a conquistare Cartagine nel 697 d.C., capitale della provincia d’Africa della quale faceva parte anche la Sardegna. Sebbene alla fine del VII secolo tutta l’Africa settentrionale sia caduta sotto gli arabi, la Sardegna riuscì a difendersi e a mantenere l’indipendenza, diversamente da Cartagine, che fu distrutta e mai più ricostruita (i suoi resti oggi sono visitabili vicino a Tunisi).
La Sardegna in questo periodo ha come referente Costantinopoli, ma vista la lontananza e il fatto che Mediterraneo era infestato dalle navi arabe, iniziò una fase di incremento economico locale. Per sopravvivere non si poteva più comprare dall’esterno e regioni come la Trexenta divennero importanti perché favorirono la produzione locale di agricoltura, allevamento e ceramica.
Mentre i Vandali e gli Ostrogoti lasciarono praticamente libera la possibilità di scelta religiosa, limitandosi ad esiliare gli infedeli, gli arabi distrussero chiese e conventi e, soprattutto in oriente, chi riuscì a fuggire portò in salvo tesori e immagini sacre. Il tragitto di questi religiosi in fuga passò per l’Africa settentrionale per arrivare nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna. Fu così che arrivarono quei monaci orientali che prima avevano i monasteri nella penisola anatolica, in Siria e in Palestina. Tuttora in Sicilia sono conservate moltissime testimonianze. Fino all’XI secolo rimane problematico risalire agli avvenimenti e possiamo parlare di periodo buio in Sardegna. Fa parte dell’impero bizantino ma l’organizzazione risente della lontananza di Costantinopoli e inizia una disgregazione. Progressivamente si formano i 4 giudicati di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura. Il giudicato di Cagliari è quello che cade per primo e verrà diviso fra i pisani, mentre nell’ultima fase arrivarono i catalani e gli aragonesi. C’è dunque un passaggio di culture perché si passa dai romani, ai vandali germanici, ai bizantini mediorientali, ai giudicati locali, ai pisani toscani e agli spagnoli.
Quando arrivarono i monaci orientali, il monachesimo era già conosciuto in Sardegna ma era di tipo occidentale. I primi arrivarono con Fulgenzio nel periodo dei vandali, uno dei 200 esuli, che introduce il monachesimo di tipo agostiniano. Il sistema si basa sulla preghiera, sul colloquio diretto con Dio, ma si lascia qualche spazio per il lavoro materiale e si lavora soprattutto nel campo culturale. Ci sono biblioteche e si copiano i codici.
Qualche decennio dopo, Gregorio Magno, con le sue lettere, influenzò molto il monachesimo, lasciando testimonianze di comunità monastiche che venivano fondate da privati cittadini nelle proprie case. Spesso si trattava di volontà testamentarie, ossia chi moriva offriva la propria casa affinché si fondasse una comunità maschile o femminile. Anche l’epoca di Gregorio Magno è attribuibile al monachesimo occidentale, in particolare di tipo cenobitico, dove le persone vivevano in comunità e non in solitudine. Il monachesimo greco è, già in partenza, ascetico. Nacque alla metà del III secolo e si sviluppò sotto Costantino, soprattutto nel deserto dell’Egitto. La spinta fu data dal fatto che Costantino che, quando fu eletto imperatore, introdusse la tolleranza religiosa, favorendo le cosiddette conversioni facili perché il cristianesimo diventò quasi una moda. Alcune persone non gradirono questa svolta perché vedevano cristiani non convinti e i più estremisti lasciarono le grandi città come Alessandria, uno dei poli culturali più importanti dell’antichità, per andare nel deserto. Non avendo di che vivere morivano facilmente e per sopravvivere costruivano delle piccole celle isolate, mentre non c’erano monasteri comunitari. Questo monachesimo ascetico è fatto di meditazione, contemplazione e preghiera, non era previsto il lavoro manuale. In seguito vennero fondate comunità simili a quelle occidentali ma l’aspetto ascetico rimase a lungo tempo.
Fra le testimonianze del monachesimo orientale in Sardegna è un’epigrafe in greco che risale all’età bizantina eseguita su un sarcofago romano più antico. Viene menzionata una “greca monastria”, interpretato come “monasteri greci”, ossia bizantini orientali. Abbiamo anche delle fonti scritte che ci parlano di comunità di monaci orientali a Cagliari, forse temporaneamente.
Un sito importante per il monachesimo orientale è in Egitto, si chiama “Abu Mina” e corrisponde a San Mena, dove attorno al primo monastero si è creata una città, che ha come fulcro una chiesa, il monastero e nelle immediate vicinanze una fonte alla quale i fedeli si recavano per risanarsi in quanto si attribuivano alla sua acqua proprietà mediche. Una delle testimonianze archeologiche è costituita da un’ampollina che raffigura San Mena vestito da militare. Morto in oriente, la leggenda vuole che alcuni soldati che dovevano andare a combattere vicino ad Alessandria portarono sopra un cammello il sarcofago con le reliquie del santo, ma lungo il tragitto l’animale si fermò in un punto ben preciso dove in seguito costruirono la chiesa. Infatti, san Mena è sempre rappresentato mentre prega fra due cammelli. Questa tipologia di ampolline è stata ritrovata anche in Sardegna, probabilmente portate da pellegrini. La circolazione di idee attraverso i viaggi è stata certamente una delle maggiori cause della diffusione del monachesimo orientale anche in Sardegna. Ai monaci orientali viene collegata una serie di luoghi per il tipo di intitolazione; ad esempio Elia era orientale e così viene chiamato il promontorio di Cagliari che da sul mare. In cima c’era un tempio fenicio dedicato ad Astarte ma già nell’Ottocento Giovanni Spano ricordava l’esistenza di un piccolo cenobio abitato da monaci orientali eremiti.
A Siligo c’è Santa Maria di Mesomundu, una chiesetta posta lungo la SS 131, inserita in un complesso termale romano. Di questo luogo abbiamo una notizia importante: quando il giudice di Torres nel 1063 chiese al monastero benedettino di Montecassino l’invio di alcuni monaci per portare in Sardegna la disciplina monastica. I monaci erano già in Sardegna da diversi secoli, ma non quelli benedettini, arrivati più tardi. Il primo luogo che ospitò questi benedettini fu proprio Siligo, che venne tolto ad una comunità orientale. Questa situazione avvenne anche in molti altri luoghi a causa della scissione che avvenne in quel periodo fra la chiesa orientale e quella occidentale. La chiesa di Roma si impegnò proprio nell’eliminare le comunità orientali e concedere le terre ai monaci occidentali, i benedettini. Forse anche la domus de janas di Sant’Andrea Priu, dove nell’ultimo ambiente ci sono una serie di decorazioni di ispirazione orientale, subì la stessa sorte.
Un’iscrizione ritrovata a Cagliari riporta le lettere Monachou ed è riferita certamente ad un monaco greco. Alcune comunità orientali riescono comunque a sopravvivere e ne abbiamo notizia fino al periodo giudicale finale.
San Basilio è un luogo importante per il monachesimo orientale. Importante luogo economico e strategico militare, con fertili terreni coltivabili, fu un importante granaio dell’isola. Costituiva una delle seconde linee di fortificazione dopo quelle costiere. Si è pensato che in questo luogo ci fosse una comunità di monaci orientali soprattutto per via del nome. Quando i monaci arrivarono, difficilmente si stabiliscono nelle aree urbane, mentre preferirono dei luoghi isolati dove dedicarsi prevalentemente alla contemplazione e alla preghiera nel silenzio. Inoltre, una delle attività principali di questi monaci diventerà l’agricoltura e quindi si stabilirono generalmente in campagna.
Basilio di Cesarea nacque in Cappadocia, ai confini con la Turchia nel 330, in pieno periodo costantiniano, e muore nel 379. La sua famiglia è cristiana e, oltre a rifugiarsi nel deserto, i monaci orientali facevano vita monastica anche in famiglia, assorbendone i primi insegnamenti. Grazie alla famiglia benestante studiò a Costantinopoli ed ebbe una notevole preparazione culturale. Gli autori classici (Cicerone ed altri), pur essendo pagani erano tenuti in grandi considerazione per lo stile e la retorica e, in alcuni casi, anche dal punto di vista etico. Nella capitale d’Oriente ebbe contatti con i vescovi e maturò esperienze che mise a frutto al ritorno nella città natale. Si staccò dai ruoli importanti e dagli incarichi politici e lasciò la famiglia per recarsi nel deserto, una costante dell’epoca. Venne sensibilizzato a questo tipo di vita e decise di dedicarsi alla vita monastica. Si accorse che non era possibile esprimere al meglio lo spirito monastico senza fare del bene agli altri. Dei monaci del deserto non condivideva lo spirito individualistico e decise di mettere in piedi una comunità, alla quale diede un taglio medico, ospitando i poveri e gli ammalati e fondando la cosiddetta “basiliade”, una sorta di città-ospedale, che diverrà in seguito il nucleo dell’attuale Cesarea. San Basilio ha scritto molte opere e ciò ha decretato la sua fortuna. Le più importanti sono: le regole morali (un manuale monastico) e le costituzioni monastiche (i principi della sua disciplina monastica). I principi fondamentali sono: i monaci sono tutti uguali, non esiste una gerarchia, devono vivere in povertà lasciando tutto al monastero; è previsto un coordinatore che amministra i beni (l’igumeno), offrono assistenza medica, copiano i codici, leggono le Sacre Scritture e pregano. Questa forma di monachesimo, mista fra eremitismo e vita comunitaria, trova fortuna anche in occidente e i monaci al loro arrivo vennero definiti basiliani. Solo con Papa Innocenzo III, intorno al 1200, l’ordine verrà codificato.
Le dediche delle chiese non sono mai casuali, le comunità agiscono per un martire o un santo legato alla comunità stessa; pertanto anche la chiesa di San Basilio è certamente dimostrazione di un legame fra questo monaco orientale e la comunità che si è creata intorno a lui.
Nel paese esistevano già delle strutture termali e gli scavi hanno mostrato ambienti romani di forma quadrangolare, vasche e canali per l’acqua. Nei tratti murari si notano elementi in mattone e in pietra. Il mattone non è comune in Sardegna, le costruzioni erano prevalentemente in pietra già dall’epoca nuragica; pertanto si tratta di materiale di importazione da Roma; infatti avevano il marchio “officine romane”. C’era anche una produzione in Sardegna ma era di poco conto. Una costante sembra essere l’uso del mattone per strutture termali. Quando arrivarono i monaci, alcune parti degli edifici erano crollate e le ricostruzioni furono eseguite in pietra, integrando i ruderi con murature eseguite con ciò che trovavano nelle vicinanze. Le terme sono sempre collegate ad altre strutture, spesso ville, perché i ricchi proprietari terrieri si facevano costruire residenze dove andare a trascorrere il tempo libero e le terme erano un bene di lusso. Essendo legate alla disponibilità dell’acqua durano nel tempo perché vengono utilizzate anche per altri scopi dalle comunità che si alternano nel tempo. Anche a Dolianova abbiamo la stessa situazione.
A San Basilio c’è una grande vasca e si notano modifiche strutturali degli edifici che suggeriscono varie attività legate al monastero. La villa ha diverse entrate mentre i monasteri sono luoghi chiusi e protetti, quindi si verifica spesso che gli accessi siano tamponati per la trasformazione da villa a monastero. La chiesa attuale di San Basilio è successiva al periodo dei monaci, ma è stata edificata dai monaci provenienti da San Vittore di Marsiglia, chiamati dal Giudice di Cagliari, anche se sicuramente la cappella dei monaci orientali si trova sotto le attuali strutture. Quando arrivarono ricevettero la chiesa di San Saturnino a Cagliari, che diventò la sede del priorato. Questa casa madre aveva una serie di filiazioni sparse nel territorio del Campidano fino ad arrivare nel Sulcis-Iglesiente. Attualmente San Basilio si presenta con un’unica navata ma all’inizio aveva due navate. Sono stati tamponati alcuni archi ed è stata aperta una finestrella. Le chiese a due navate sono molto comuni in Sardegna e in Corsica. Visto che nella liturgia latina la chiesa riproduce la forma della croce, normalmente si presenta con un unico lungo ambiente diviso in navate dispari, nel transetto si trovano l’altare e l’abside che rappresenta la testa della croce, dove stava la testa di Cristo. Le chiese a due navate non hanno centralità e ci si chiede il motivo di questa scelta. Essendo numerose, qualcuno ha pensato che una navata fosse dedicata al battesimo e l’altra alla liturgia, oppure che una delle navate fosse la cappella di un martire. Nel caso delle chiese monastiche si è ipotizzato che una delle navate fosse per i monaci e l’altra per i fedeli. A Cagliari, in Viale Buoncammino, c’è un’altra chiesa a due navate, dedicata ai santi Lorenzo e Pancrazio.
In conclusione possiamo affermare che una comunità di monaci orientali, vicina alle regole di San Basilio, si è stabilita nel territorio del paese di San Basilio, un luogo importante dal punto di vista militare ed economico. A Donori è stata trovata una lastra con scritte delle norme per i commercianti che dalla Trexenta si recava nel porto di Cagliari per vendere le merci. Sono menzionati vegetali e carne, e potevano essere consumati nella città o imbarcati per raggiungere mete lontane, ai tempi dell’imperatore Maurizio, quindi fra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, gli stessi anni in cui arrivano i monaci orientali. Resta ancora da dire che molti luoghi frequentati dai monaci orientali sono riconoscibili dalle pitture perché la simbologia e i soggetti sono caratteristici, pertanto quando gli archeologi sono fortunati e riescono a portare alla luce frammenti di intonaco o elementi che riportano tracce colorate si riesce spesso a ricostruire un pezzo di storia della comunità.
Fonte: Atti del convegno di San Basilio nella rassegna "Viaggi e Letture" a cura di Pierluigi Montalbano
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