I mostri di Templeton mi aveva affascinata sin dalla prima volta in libreria. Vuoi perché adoro le saghe familiari; oppure perché non c'è niente che mi diletti di più dell'irruzione del fantastico (la bellezza spiazzante di quel mostro implume, che galleggia sulle acque del lago Glimmerglass fin dalle prime righe!) in una storia di ordinaria umanità.
Eppure, invece che acquistarlo per me, lo regalai alla mia amica Mara per il suo compleanno.
In realtà, non so neppure se le sia piaciuto nel vero senso della parola: non ne abbiamo mai parlato. Almeno, non come amavamo parlare di libri e storie quando eravamo ragazzine...
Dopo qualche mese le chiesi di prestarmelo; ma le alterne vicende della vita, l'urgenza di altre letture e chissà che altro fecero sì che il romanzo della brillante Lauren Groff giacesse per parecchio tempo dimenticato nella mia libreria.
Quando, finalmente, mi decisi ad aprirlo (dentro c'era ancora una cartolina di non so quale riserva naturale - acquistata da Mara nel 2009 e utilizzata come segnalibro), ne rimasi folgorata; senza nessuna meraviglia: me lo aspettavo.
Willie Upton, ultima discendente della famiglia che ha fondato la cittadina di Templeton (modellata sulla reale Cooperstown, che ha dato i natali alla Groff), torna a casa al termine (quasi) di una brillante carriera universitaria: è in crisi, arrabbiata e incinta del suo professore Primus Dwyer, già sposato con una donna terribile, nonché rettrice della facoltà. Torna da sua madre, Vivienne, ex hippy sessantottina oggi infermiera fidanzata con un infervorato pastore protestante, dedito alla preghiera e all'arte di fabbricare maglioni (orribili) con le proprie mani. L'intento di Wilhelmina sembra essere quello di annullarsi, seppellendo nell'amata e odiata cittadina di Templeton un'esistenza confusa, un'identità incerta. Del resto, neppure Templeton sembra essere più la stessa, ora che anche il mostro del lago, Glimmey, è morto - salendo infine alla superficie dopo lustri di fugaci apparizioni al chiaro di luna.
Con Glimmey, Templeton pare aver perduto la sua anima. Eppure, proprio a Templeton Willie ritroverà se stessa, attraverso un percorso a ritroso nella storia della cittadina: dalle discutibili gesta del fondatore Marmaduke Temple sino alla vera identità del padre di Willie, che Vivienne non ha mai voluto svelare.
I mostri di Templeton si articola su due piani temporali (quello di Wilhelmina, della madre Vivienne, dei "compagni di corse"; e quello, spezzettato, polifonico, dei personaggi del passato, la cui storia viene ricostruita dalla ragazza attraverso diari e lettere: si tratta di storie non di rado crudeli, feroci, che mescolano il realismo spietato della crudeltà umana a poteri paranormali e malattie mentali), con un linguaggio vivace, mai eccessivo o ridondante (reso in italiano dalla bella traduzione di Anna Rusconi). Una storia che è al tempo stesso saga e romanzo di formazione e che mescola (assurdamente - e al contempo in modo impeccabile) elementi fantastici (il mostro Glimmey, il fantasma viola che abita nella stanza di Willie...) alla bellezza del cammino intrapreso dalla protagonista. Cammino che la condurrà infine a una nuova partenza, a un nuovo "risveglio" - e che restituirà in qualche modo a Templeton la sua innocenza primigenia.
A cosa pensa il Mostro, il giorno in cui Muore:
L. Groff
a pesci pesci pesci pesci pesci pesci pesci;
all'oscurità che schiarisce in fretta, al sole che apre gli occhi;
che presto dal fondo vedrà i culetti frementi delle anatre;
al dolore che sale scuro e terribile dalle viscere;
che presto vedrà le gambe scalpitanti della gente contro la superficie luminosa, perché è bello guardare le gambe che scalpitano e sarebbe bello che le persone che appartengono a quelle gambe si dimenticassero di risalire e cominciassero ad affondare...
The Monsters of Templeton
trad. it. I mostri di Templeton (di Anna Rusconi)
Einaudi
Torino 208
452 pagine