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I nomi delle vacche di Vallo di Nera

Creato il 25 settembre 2013 da Berenice @beneagnese

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Una coppia di bovini intenti ad arare i campi (Foto La Valnerina)

C'è stato un tempo, almeno fino a cinquant’anni fa, in cui nei paesi della Valnerina le vacche erano presenti in tutte le stalle. Insieme agli asini e ai muli costituivano il patrimonio strumentale di ogni famiglia: necessarie per lavorare i campi e per tirare i carri, soddisfacevano anche i bisogni alimentari procreando vitelli da carne e producendo latte fresco da bere o da trasformare in formaggi e ricotta.

L’emigrazione degli abitanti verso le città, la meccanizzazione e la trasformazione degli immobili rustici in taverne e mini appartamenti hanno sbaragliato la vecchia economia domestica e delegato l’approvvigionamento del cibo al mercato organizzato, cosicché gli allevamenti hanno cambiato fisionomia. Non più diffusi casa per casa, ma sistemati in progetti aziendali.

Di quelle presenze fisicamente è restato ben poco, mentre è stata conservata una memoria viva nelle persone che ricordano ancora alcuni dei nomi assegnati a ciascun animale. 

A Vallo di Nera raccontano a mo’ di filastrocca che, a metà Novecento, nella stalla di Andrea Ridolfi, contadino fantasioso, vivevano contemporaneamente:

Capitano e Bersagliere,

Barona e Cittadina,

Capricciosa e Brillantina.

I primi due erano una coppia di buoi destinati al giogo e al birroccio, le seconde erano vacche, le terze giovenche.

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Dopo di loro vennero Pulcinella, Parmigiana, Campagnola e Montagnola.

Il somaro si chiamava Poponese e la mula Rosina.

In un’altra stalla c’erano Biancuccia, Paesana, Bianca, Caporoscia e, vicino, Ciuchetta, La Maremmana, La Mora e Broccoletta; bovini di razza Chianina, Maremmana o Bruna, con nomi ispirati alle loro caratteristiche fisiche e funzionali o ai comportamenti più o meno vivaci.

Sin dalla mattina presto, nella buona stagione, le vacche venivano condotte al pascolo mentre d’inverno le mangiatoie o rippie erano riempite di fieno e murricchi, cioè fascetti di fronde tagliate dagli alberi con la ronchetta (roncola).

Dare un nome proprio agli animali domestici di grossa taglia era una consuetudine irrinunciabile, che fissava l’appartenenza dell’animale al nucleo familiare e che, alla luce di recenti ricerche, può essere considerato persino fruttuoso. Secondo uno studio dell’Università di Newcastle, diffuso dall’Esigea ente di sviluppo per l’energia e l’ambiente, le mucche ‘battezzate’ arriverebbero a produrre decine di litri di latte in più: il nome permetterebbe lo sviluppo della personalità, uno stato di felicità e di relax favorevole alla lattazione. Come a ribadire che a nessuno piace confondersi nella mischia.

A Vallo di Nera per ora i bovini rimasti sono quattro e di razza chianina: la quieta Pomposina, l’esuberante Rondinella e i loro due figli-vitelli Cardellino e Leoncino

La tradizione continua.


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