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I nuovi profeti:la premiata ditta B. & M.

Creato il 28 agosto 2010 da Fabry2010

I nuovi profeti:la premiata ditta B. & M.

di Linnio Accorroni

I nuovi profeti sfoderano volti sereni e rassicuranti, di un candore quasi bamboccesco e finto-naif; volti la cui grazia angelicata è sapientemente intonata alla camicia (B.) o al maglioncino (M.) o alla polo blu notte ( sempre M.), novità assoluta questa per look sapientemente meditati ed indagati, con un’acribia degna di miglior causa, da articolesse ponderose, da estenuanti esegesi di ineffabili cronisti, capaci di riempire intere colonne discettando sul numero dei bottoncini e sulla lunghezza delle arrotolate maniche di camicia. Sono B. & M. i profeti del ‘bisogna essere assolutamente moderni’, i guru benedicenti del post post-moderno, i nipotini sempre à la page, più buoni e concilianti, più presentabili e simpatici dei loro bellicosi ed ineleganti avi che, all’inizio del secolo scorso, teorizzavano la necessità della distruzione di biblioteche, musei ed accademie per celebrare i fasti del nuovo che avanza, del domani che è già oggi, della bellezza di un futuro gioioso e magnifico che è come già incistato nel presente, ma noi non ce ne siamo neanche accorti. Oggi i nuovi profeti sentenziano l’avvento dell’epoca nuova e felice, scortati dall’ applauso fedele di platee ugualmente osannanti, platee sostanzialmente omologhe ed affini – i ciellini a Rimini, il pubblico televisivo di Fazio, quello del salotto buono della sinistra (sic)-, platee in isterico tripudio di fronte all’annuncio del Verbo Nuovo, quello che spiega che bisogna farla finita con il vecchiume ed il passatismo, che le anticaglie del pensiero e i ruderi dell’ideologia vanno gettati via, tout court, senza pietà. Sostiene infatti M. che la lotta di classe, i diritti dei lavoratori, la conflittualità e l’antagonismo non sono altro che orpelli antiquati di un mondo che fu, oggetti kitsch del salotto di Nonna Politica che debbono essere tolti di mezzo per spianare la strada al nuovo che avanza: “ Non siamo più negli Anni Sessanta. Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra ‘capitale’ e ‘lavoro, tra ‘padroni’ e ‘operai.[…].Non credo sia onesto usare il diritto di pochi per piegare il diritto di molti” ( e si noti bene il rovesciamento quantitativo per cui i molti –i lavoratori- diventano pochi e i pochi,-i capitalisti-molti. Ma nella realtà non è l’esatto contrario?) Ma anche : “Rifiutare il cambiamento a priori significa rifiutare il futuro. Se non siamo disposti ad adeguarci al mondo che cambia, ci ritroveremo costretti a gestire solo i cocci del nostro passato.” Che M. sia poi lo stesso che veniva collocato pochi anni fa dal comunista(?) Bertinotti fra i ‘borghesi buoni’ tanto da indicarlo come ‘salvatore’ dell’Alitalia, è cosa che oggi suscita più il sorriso che il dolore.
Per una felice sovrapposizione sincronica, lo stesso giorno in cui il nuovo profeta M. cancellava,parlando dal consesso di Affari e Comunione, tanto brutalmente un pezzo di storia, un altro nuovo profeta ci spiegava, illuminato da una curiosa dislocazione ucronica (“Ci crediate o no, questo articolo l’ho scritto nel luglio 2026, cioè fra sedici anni”: questo l’abbacinante incipit su Repubblica del 25 agosto dell’articolo di B. per cui si può parlare di profezia ex post) che l’idea di una formazione culturale basata sulla non superficialità dell’apprendimento e della conoscenza, ma piuttosto sulla pazienza, sulla fatica, sull’ indagine ostinata, sulla ‘profondità’ della ricerca e dello studio, erano detriti del passato, semplici materiali di scarto, macerie da destinare ad una prossima imminente liquidazione. Val la pena riportare alcune chicche dall’articolo del profeta B: “ la profondità, che in realtà non sembra mai essere esistita, e che alla lunga sarà ricordato come una delle utili menzogne che gli umani si sono raccontati.[…]. La reinvenzione della superficialità come luogo del senso è una delle imprese che abbiamo compiuto: un lavoretto d’ artigianato spirituale che passerà alla storia. Dove molti vedevano una semplice resa alla superficialità, molti altri hanno intuito uno scenario ben differente: il tesoro del senso, che era relegato in una cripta segreta e riservata, ora si distribuiva sulla superficie del mondo, dove la possibilità di ricomporlo non coincideva più con una discesa ascetica nel sottosuolo, regolata da un’ élite di sacerdoti, ma da una collettiva abilità nel registrare e collegare tessere del reale. […]Perdiamo capacità di concentrazione, non riusciamo a fare un gesto alla volta, scegliamo sempre la velocità a discapito dell’ approfondimento: l’ incrocio di questi difetti genera una tecnica di percezione del reale che cerca sistematicamente la simultaneità e la sovrapposizione degli stimoli: è ciò che noi chiamiamo fare esperienza. Nei libri, nella musica, in ciò che chiamiamo bello guardandolo o ascoltandolo, riconosciamo sempre più spesso l’ abilità a pronunciare l’ emozione del mondo semplicemente illuminandola, e non riportandola alla luce: è l’ estetica che ci piace coltivare, quella per cui qualsiasi confine tra arte alta e arte bassa va scomparendo, non essendoci più un basso e un alto, ma solo luce e oscurità, sguardi e cecità Per questo oggi suona kitsch ogni simulazione di profondità e in fondo sottilmente cheap qualsiasi concessione alla nostalgia. La profondità sembra essere diventata una merce di scarto per i vecchi, i meno avveduti e i più poveri”.
A questo punto giunge inevitabile una specie di corto circuitazione onirica, di smarrimento delle coordinate spaziotemporali, di un piccolo collasso babelico per cui non si capisce più se è Baricco che parla ai ciellini elogiando la globalizzazione o Marchionne che ha scritto un fondo su Repubblica per spiegare quanto è bello essere superficiali. Le tesi dei due nuovi profeti coincidono e si equivalgono, ci spiegano e contestualizzano il mondo ponendosi esattamente dalla stessa parte della barricata. Una barricata confortevole e piena di glamour ed ammennicoli, dove wikipedia e multi skating, ipad e google convivono gioiosamente insieme ad un’ ottica del lavoro e del profitto che ricorda molto da vicino quella schiavistica, una celebrazione della felicità che coincide con la globalizzazione dei doveri e la distruzione dei diritti.



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