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Bendis e il desiderio del capolavoro
Nel terzo e quarto episodio de Gli Eroi di Domani, Brian Michael Bendis si focalizza su Ciclope nelle sue due incarnazioni, quella del presente narrativo e quella del passato. I due Summers diventano poli di una serie di tensioni simmetriche, ragionevolmente destinate a entrare in risonanza, acuendosi sempre di più, fino a una prevedibile crisi e discontinuità, che li constringerà/porterà a cambiare in qualche aspetto fondamentale (attenzione: la prevedibilità di un soggetto non ha niente a che vedere con la qualità e la profondità dell’intreccio che ne può derivare, ed è l’intreccio, non il soggetto, che leggiamo).
L’incapacità di dominare i poteri mutanti sotto l’effetto Fenice, unito allo shock di rivedere Jean Grey innescano una serie di piccoli e grandi episodi che mettono in crisi il Ciclope del presente. Così come la consapevolezza del futuro (in particolare della sua inevitabilità: i viaggi nel tempo finiscono sempre per chiamare in causa il libero arbitrio o i multiversi) incrina la sicurezza del Ciclope degli anni 1960 e la fiducia dei suoi compagni, Marvel Girl in primis, nei suoi confronti.
Bendis addensa snodi narrativi e conferma la predilezione per la saturazione testuale (esemplare la scelta di esplicitare tutti i pensieri del Summers del presente nell’incontro con Jean) e per scene d’effetto che sfruttino l’abilità di Stuart Immonen nel realizzare immagini, sia statiche sia dinamiche, di forte impatto visivo, grazie a una spiccata sensibilità plastica. La spettacolarizzazione fa quindi ancora aggio sul resto.
Soprattutto è forte la sensazione che Bendis ritenga di poter scrivere una pietra miliare dell’universo mutante limitandosi a parlare degli X-Men e non del mondo intorno ad essi.
Il confronto plateale fra i due Ciclope, con i loro fasci così esteticamente diversi, barocco quello influenzato dalla Fenice, lineare quello originario, sintesi della loro evoluzione, ben rappresenta questo approccio/tentazione di esplorare il mondo chiuso in sé dei mutanti.
Bendis mostra tuttavia di essere capace di tratteggiare atmosfere ben più sottili: il dialogo fra Ciclope ed Emma Frost in chiusura del quarto episodio (ma anche lo scambio di sguardi fra il Summers e la Jean Grey degli anni 1960 trasmette più di altri dialoghi didascalici di altre tavole) dà l’idea di come sia possibile alzare il livello di tensione emotiva mettendo in scena il cuore dei problemi e delle crisi.
Quindi, già un bilanciamento fra questi momenti e l’azione spettacolare potrebbe risultare in un intreccio soddisfacente, pur restando nell’ordinario.
Forse la via d’uscita (verso il capolavoro che Bendis chiaramente intende scrivere) potrebbe essere in quei nuovi mutanti, che sperimentano sul proprio corpo, nella propria vita l’inedito e il meraviglioso, ai quali sinora lo scrittore ha dedicato poche pagine?
O forse l’autore dovrebbe allargare ulteriormente lo sguardo, aprendo al mondo non mutante, assumendone magari il punto di vista?
Le molte e una via verso un’idea di Giustizia
In Legacy Simon Spurrier deve ancora trovare equilibrio fra i vari toni che utilizza nel raccontare.A volte il parodistico è sopra le righe e rimane esercizio di stile e ammiccamento banalizzante al lettore, tuttavia è evidente il tentativo di comunicare in maniera non stereotipata non solo e non tanto il punto di vista di David Haller /Legione, quanto la sua esperienza di scoperta di sé e del mondo.
Il protagonista cerca un senso alla propria esistenza, ai propri poteri, che percepisce essere potenzialità di crescita e interazione con il mondo, con le persone.
Un punto che Spurrier tiene a sottolineare, talvolta sfiorando il didascalico, è la consapevolezza di questa ricerca: Haller vuole crescere e vuole farlo secondo certi principi. Siamo ancora all’esplorazione dei poteri come strumenti, alla fase infantile, in cui Legione è dominato dalle proprie pulsioni, vive una vera e propria emergenza continua e cerca di sfruttare i propri poteri per risolverla. Non è un confronto con i molti altri sé che affollano la sua persona, ma una lotta per il predominio e la sopravvivenza. Ragionevolmente, lo seguiremo nell’elaborazione di una strategia di convivenza con i propri demoni e nella ricerca di un proprio posto nel mondo.
Il punto di svolta di Legacy potrebbe allora essere il riuscire a trasmettere l’incertezza, l’esaltazione che nella crescita accompagna la scoperta di sé (qui volevo sottolineare che è proprio la scoperta di sé il punto cruciale. dici sia pleonastico?), quella fascinazione ambigua verso le parti più oscure del proprio essere, verso le pulsioni negative, verso la propria stessa capacità distruttiva, coniugata alla volontà di conoscerle, contenerle, metterle in relazione problematica con gli stimoli esterni e indirizzarle verso un fine.
Potrebbero essere quelli del padre, Charles Xavier?
Oppure si potrebbe mirare agli stessi obiettivi ma procedendo attraverso un diverso percorso, che abbia maggior rispetto per i bisognosi, i deboli, come Haller, come i bambini?
Anche Tan Eng Huat sembra alla ricerca di un equilibrio efficace fra realismo e caricatura, come dimostrano alcune deformazioni prospettiche, che azzardano una definizione straniante dello spazio narrativo, con risultati non sempre efficaci (massime laddove i personaggi appaiono appoggiati su fondali e non immersi nell’ambiente). L’impressione è che in questa fase le incertezze nella scelta/definizione delle atmosfere non aiutino Huat e che testo e disegno debbano ancora trovare una sintonia ottimale.
Abbiamo parlato di:
I Nuovissimi X-Men #2
Brian Michael Bendis, Stuart Immonen, Simon Spurrier, Tan Eng Huat
Traduzione di Fabio Gamberini
Panini Comics, Luglio 2013
80 pagine, spillato, colori, 3,50 €
ISBN: 9772282453003300012
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