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I pappagalli del cavaliere

Creato il 30 aprile 2011 da Casarrubea
I pappagalli del cavaliere

La folla tenuta a distanza (foto Montalto, archivio Corseri)

Sono quasi vent’anni che studio i retroscena e i lati oscuri della storia italiana dal 1943 in poi. Un lavoro che ho sempre sentito il dovere di divulgare attraverso  la pubblicazione di molti libri (FrancoAngeli e Bompiani) e, da qualche anno, sul blog che state leggendo. Una ricerca che ho iniziato nel lontano 1994 con lo studio delle carte del processo di Viterbo e del successivo Appello di Roma concernenti la strage di Portella  della Ginestra (1° maggio 1947), di cui domani ricorre il 64° anniversario.

Mi sarei aspettato stima e approvazione per questo mio lavoro. Soprattutto dalle forze sindacali e politiche della sinistra, nonché dal mondo della storiografia accademica. Invece no. La mia fatica ha attirato critiche e malumori, assai più che dalla destra fascista e berlusconiana. O peggio ancora l’ignoramento. Mi sono cascati addosso persino dei processi, come quello intentatomi dal generale dell’Arma Roberto Giallombardo, nel 1997, conclusosi con la mia assoluzione dieci anni dopo.

Sono poi venute altre ricerche e pubblicazioni, conseguenza diretta della mia collaborazione con lo storico Nicola Tranfaglia e con il ricercatore  argentino Mario J. Cereghino.

I misteri sulla vita e sulla morte di Salvatore Giuliano mi hanno sempre intrigato, anche perché fu proprio un commando della sua banda a uccidere, il 22 giugno 1947, mio padre, un dirigente sindacale, e Vincenzo Lo Iacono, nel corso di un violento attacco terroristico contro la sede del Pci e della Camera del Lavoro di Partinico (Palermo). Era lo svolgimento coerente dell’azione stragista avviata già con l’assalto alla Federterra di Alia (1946) e culminata il 1° maggio 1947 con Portella.

Non mi sono mai arreso e ho sempre ritenuto nemici coloro che mi hanno impedito di parlare, di approfondire, di esprimere la mia voce. Così, sollecitato dal mio amico Tranfaglia,  ho scritto “Storia segreta della Sicilia”, e poi con Cereghino “Tango Connection” e “Lupara nera”, tutti pubblicati da Bompiani.

Nel corso delle mie indagini ho ricevuto documenti, testimonianze e attestati da parte di decine di persone che hanno creduto nella mia serietà e nella scientificità della mia ricerca. Nel 2004, il professore Alberto Bellocco, perito medico legale di fama nazionale, mi inviò un report di dodici pagine corredate da cinque foto “attribuite al bandito Giuliano (Castelvetrano, luglio 1950)”. Bellocco in sintesi, a pagina 6, scrive: “Da queste sommarie considerazioni, si possono sicuramente esprimere dei seri dubbi sulla possibilità che le foto portatemi in visione possano essere attribuite allo stesso cadavere ed allo stesso evento. Infatti si può senza dubbio affermare che le foto A, B, C siano relative ad un cadavere, mentre le fotografie D ed E siano sicuramente attribuibili ad una stessa salma, ma diversa dalla precedente”. E conclude: “Le due salme non sembrano appartenere alla stessa persona.”

I pappagalli del cavaliere

Castelvetrano, Cortile Di Maria, 5 luglio 1950 (foto Montalto, archivio Corseri)

L’anno scorso, avvicinandosi il 60° anniversario del conflitto a fuoco che avrebbe portato alla morte del terrorista monteleprino, ho ritenuto opportuno scrivere al dott. Alessandro Marangoni, questore di Palermo. Il 5 maggio 2010, in una missiva firmata anche da Cereghino, chiedevo che le autorità competenti intraprendessero “un’indagine conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell’avvocato Di Maria (Castelvetrano), la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950. […] Gli scriventi ritengono che vi siano fondati motivi per ritenere che il cadavere ritratto nel suddetto cortile e nell’obitorio del cimitero di Castelvetrano, non sia la medesima persona ritratta in decine di fotografie e in un filmato del dicembre 1949, come il bandito Salvatore Giuliano”.

Il 5 luglio 2010 sono stato convocato dai Pm Sava, Guido, Del Bene, Viola, alla presenza del sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Antonio Ingroia. Nel corso della mia audizione ho consegnato ai Pm copia del report del professore Bellocco e diverse decine di fotografie sulla vicenda Giuliano negli anni 1943-1950. Sono immagini tratte da archivi fotografici privati, rotocalchi e giornali come, ad esempio il numero speciale de “L’Europeo” del giugno 2001, intitolato “Cinquant’anni di gialli”. All’interno di questo magazine vi è un ampio servizio, “La morte del bandito Giuliano: chi ha ucciso Turiddu?”, con articoli firmati da Tommaso Besozzi, Nicola Adelfi, Claudio Carabba (pp. 52-67).

I miei obiettivi erano tre:

1)   Mettere al corrente i magistrati della perizia del professore Bellocco;

2)   fornire loro una serie di informazioni riservate sul caso Giuliano, di cui ero venuto a conoscenza in virtù dei miei studi;

3)   invitarli a raffrontare le decine di foto scattate la mattina e il pomeriggio del 5 luglio 1950 a Castelvetrano. Sono immagini che ritraggono un corpo che giace bocconi nel cortile Di Maria e  un corpo  adagiato all’obitorio di Castelvetrano e nello spiazzo antistante.

Nelle settimane seguenti ho continuato a fornire ai Pm altre collezioni fotografiche riguardanti la scena del delitto. Soprattutto, ho suggerito di mettere a raffronto due preziosi filmati su Turiddu Giuliano. Ovvero: il filmato di Ivo Meldolesi, realizzato nelle campagne di Salemi alla fine del 1949, e il famoso cinegiornale Luce proiettato nelle sale cinematografiche di tutta Italia il 12 luglio 1950, in cui si vede chiaramente un cadavere nello spiazzo antistante l’obitorio di Castelvetrano.

Dunque le foto analizzate dal professore Bellocco sono genuine, a differenza di ciò che hanno maliziosamente insinuato negli ultimi giorni alcune testate di proprietà della famiglia Berlusconi. E se queste immagini non risultavano chiaramente leggibili, come avrebbe affermato la polizia scientifica di Roma, sarebbe bastato entrare in contatto con Bellocco per mettere mano agli originali, magari in copia digitale.

Per quanto riguarda i filmati (Meldolesi e Cinegiornale Luce), non mi risulta che si sia mai proceduto con l’analisi e il raffronto scientifico tra i singoli fotogrammi del 1949 e del 1950.

Veniamo ora all’accusa, meno simpatica, che mi è caduta in testa come una tegola, rivoltami da “Panorama”, “Il Giornale” e “Il Foglio”, organi di propaganda del cavaliere. Nel numero del 28 aprile scorso, “Panorama” ha pubblicato due foto del cortile di Castelvetrano. Una è originale, l’altra è tratta dal film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi (1961). Come a dire che io avrei fatto il furbo infilando tra le svariate decine di foto raccolte negli ultimi anni, e consegnate ai Pm, un fotogramma tratto dalla pellicola del regista napoletano, con l’intento subdolo di ingannare la Giustizia.

Peccato, sarebbe bastato che gli zelanti autori degli articoli si fossero informati meglio. Ad esempio contattando direttamente il sottoscritto e il suo archivio, che raccoglie oltre ventimila documenti provenienti da diversi fondi internazionali. A questi reporter avrei volentieri spiegato di avere consegnato il 5 luglio 2010 ai Pm di Palermo, materiali svariati che comprendevano anche  il numero speciale de “L’Europeo” del giugno 2001, di cui abbiamo parlato prima, con tanto di foto tratte da questa gloriosa testata. A pagina 63, la didascalia di una  immagine a tutta pagina recita: “Una delle primissime foto scattate nel cortile in cui fu trovato il cadavere di Turiddu”. Ma è un fotogramma del film di Rosi. Un evidente, umano errore dell’editor de “L’Europeo” che lavorò al numero speciale del giugno 2001.

In ogni modo, se i giudici di Palermo hanno ritenuto di dover procedere con l’apertura del sepolcro del bandito monteleprino, avranno avuto le loro buone ragioni. Ad esempio, le audizioni di una decina di persone tra le quali figura un personaggio sul quale ha scritto il giornalista palermitano Giuseppe Lo Bianco il 29 ottobre 2010 su “Il Fatto quotidiano”. E le sorprese non sono mancate neanche nei mesi successivi, quando due infermieri di Castelvetrano hanno rivelato ai Pm le ultime confessioni dell’avvocato Gregorio Di Maria, fatte tra il marzo e l’aprile del 2010, alcune settimane prima di morire.

Per non parlare della telenovela del Dna. I periti medici di Genova e Roma ci hanno messo quattro mesi per rivelare al mondo di non essere giunti ad una certezza sull’identità di quel cadavere riesumato a Montelepre il 28 ottobre 2010.

Ma diciamocela tutta la verità, a conclusione di queste riflessioni. L’intento di Berlusconi e affini è sempre uno ed uno solo da diciassette anni a questa parte: attaccare con intenti diffamatori la magistratura per delegittimarla e alterare il sistema democratico italiano nato dalla Resistenza.

Con buona pace di una caterva di mascalzoni.

Giuseppe Casarrubea

La relazione e le illustrazioni del professore Alberto Bellocco, perito medico legale:

BELLOCCO RELAZIONE


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