Non è la prima volta che si leggono queste notizie, sono anzi ormai molti anni che si mete spesso l'accento sui lavori e gli impieghi rimasti scoperti, nonostante un tasso di disoccupazione, specialmente tra i giovani e le donne, sempre piuttosto elevato e che sta raggiungendo in questi giorni livelli record.
La disponibilità di posti di lavoro nei campi delle tradizionali attività dell'artigianato e del commercio mette in rilievo alcuni paradossi del mercato del lavoro italiano: il primo è che a fronte di una dichiarata mancanza di laureati, con le relative indicazioni della Ue ad aumentarne il numero, quando poi i giovani neo dottori stentano a trovare un impiego all'altezza dei propri studi, mentre decine di migliaia di lavori manuali rimangono senza interpreti, nonostante possano garantire redditi non trascurabili, almeno a sentire le organizzazioni di categoria.
La ragione del disamoramento dei giovani italiani verso questo tipo di occupazione dipenderebbe, secondo gli esperti, dallo scarso prestigio sociale che attribuiscono, oltre che al notevole impegno in ore di lavoro e orari spesso difficili, oltre che alla scarsa informazione e preparazione.
Delle pregiudiziali difficili da superare, se non con una riforma del mercato del lavoro che ridia una dignità sociale al lavoro manuale. Un obiettivo per raggiungere il quale occorrerebbero decine di anni.
Eppure questa storia dei lavori negletti e dimenticati, considerati a volte perfino in via di estinzione, a me non ha mai convinto fino in fondo, come pure quella dei lavori affidati agli extra comunitari perché gli italiani non li vogliono più fare.
Quando la crisi economica era ancora lontana poteva essere facile far passare il messaggio che certi tipi di lavoro erano ignorati dai nostri giovani cittadini, tanto che si doveva ricorrere a manodopera straniera, e il dubbio che il fenomeno dipendesse invece dal fatto che l'offerta era invece economicamente insufficiente e che era in grado di attirare solo quanti erano disposti a lavorare per meno dei salari minimi garantiti e per un numero superiore di ore, magari pure in nero e senza nessuna copertura assicurativa, non poteva essere facilmente verificato.
Oggi però, con il tasso di disoccupazione giovanile superiore al 30% è più difficile pensare che non ci siano risposte davanti alla richiesta di manodopera, per di più in grado di offrire una remunerazione economica molto più allettante di un qualsiasi impiego precario o in part time e il dubbio che le cose non stiano proprio come spesso vengano mostrate si fortifica.
Si fortifica e diventa enormemente forte quando poi si verificano fatti come quello seguito alla pubblicazione di un articolo sulle pagine romane Corriere della Sera, che descriveva uno scenario davanti al quale non si poteva non rimanere sorpresi, se fosse stato vero.
Che le cose non potevano proprio essere come erano state descritte dall'articolo l'abbiamo però appreso qualche tempo dopo, quando sono arrivate al pubblico le storie di quanti avevano chiesto informazioni sul come, dove e in che modo entrare nel mondo dei panificatori ormai quasi destinato all'estinzione.
Ebbene, le risposte date ai giovani in cerca di lavoro dei di Roma, che aveva patrocinato l'articolo, sono state molto diverse da quelle che ci si sarebbe potuto immaginare, come ha sperimentato di persona Luca Silvestro, uno dei tanti giovani che aveva risposto all'appello per "salvare" la tradizione del pane italiano.
Non c'era dunque nessun lavoro ad attendere i volenterosi ragazzi, ma solo un corso di formazione a pagamento che non dava nesuna garanzia per una futura occupazione. Il paradosso del mercato del lavoro, dunque, è solo apparente e sarebbe bene che le autorità, le associazioni di categoria serie e pure i giornali, che magari dovrebbero vagliare un po' meglio cosa pubblicano, perché aggiungere al danno della disoccupazione pure la beffa della truffa è veramente troppo, specialmente in tempi duri come questi, che potrebbero (e stanno portando, come le cronache raccontano) portare qualcuno a compiere atti irreparabili, a danno di se stesso e di altri.