Anna Lombroso per il Simplicissimus
Il sottosegretario – entrato nella leggenda per essere sopravvissuto a un sisma nella zona del Colosseo che gli ha permesso l’acquisto sottocosto di un prestigioso appartamento grazie agli uffici solidali di un altro sottosegretario, anche lui passato alla storia per essersi dimesso, caso più unico che raro – bacchetta i ministri. Una circolare di Patroni Griffi ricorda ai membri del governo che entro fine mese, ”in ottemperanza delle normative sulla trasparenza” devono rendere noti tutti i dati “sulla situazione patrimoniale”. Solo pochi l’hanno fatto, e parzialmente. In base alla legge, secondo una consuetudine dal Governo Monti, entro tre mesi dalla loro elezione o dalla loro nomina, i titolari di incarichi politici sono tenuti a pubblicare non solo i loro redditi ma anche quelli del coniuge e dei familiari entro il secondo grado (purchè essi vi consentano, ed in caso contrario va specificato). Non solo: dovranno essere indicato l’atto di nomina o di proclamazione, con la durata dell’incarico o del mandato elettivo, il curriculum dei compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, i viaggi di servizio e le missioni pagati con fondi pubblici. Così come dovranno essere messi online i dati relativi all’assunzione di altre cariche presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti, e gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, con l’indicazione dei compensi. Tutto sulla base di una “scheda sulla trasparenza della posizione patrimoniale e reddituale dei titolari di cariche di governo” che si trova sul sito di Palazzo Chigi. Finora ci informa la Repubblica solo il presidente del Consiglio Enrico Letta avrebbe messo online il curriculum e le proprie dichiarazioni patrimoniali ma non quella della moglie, mentre della dichiarazione dei redditi del vicepremier Alfano non c’è traccia. Il ministro per la Funzione pubblica Giampiero D’Alia, si apprende, ha inviato a Patroni Griffi ed all’Antitrust le dichiarazioni dei redditi sua e della moglie e saranno online sul sito del ministero già da lunedì.
Questione formale o questione morale? A guardar bene siamo tutti edotti del fatto che sono innumerevoli gli accorgimenti che permettono a sospetti e insospettabili di evadere, che sono opachi i percorsi di compensi e regalie, alcuni dei quali resi legittimi da regole ad personam o semplicemente al servizio di cerchie privilegiati. E non sarà la pubblicazione delle inoffensive dichiarazioni dei redditi a garantire la rivoluzione etica della politica e la redenzione dei suoi addetti e nemmeno ad evitare quell’esercizio dell’inopportunità, che non ha risparmiato nemmeno il pedagogico sottosegretario.
Invece una questione morale, pesante come un masso c’è e consiste nell’indifferenza sprezzante degli indaffarati esponenti del governo a darci conto dei loro guadagni, come dei loro eventuali conflitti di interesse, secondo un’abitudine consolidata dal loro socio di maggioranza, ma tollerata e favorita, seguita e mutuata in maniera bipartisan da esponenti dell’arco costituzionale e con entusiasmo imitativo dai sobri tecnici. Non c’è da accontentarsi certamente della primavera degli scontrini che doveva spazzare le ragnatele dalle aule sorde e grigie, ma almeno ha il senso non solo simbolico di una volontà di sottomettersi a una forma di controllo, di sentire l’obbligo di sottoporvisi perché rientra nei diritti di cittadinanza esigere la trasparenza degli atti e dell’operato dei rappresentanti eletti o nominati che siano.
La svolta aberrante del sistema da democrazia ad oligarchia e plutocrazia consiste anche in questo, nella rivendicazione con gli atti della distanza delle cerchie al potere dai cittadini, una lontananza remota e insofferente del rispetto delle responsabilità e dei doveri imposti dalla funzione di rappresentanza, come delle nostre prerogative di rappresentati.
C’è qualcosa di profondamente ingiusto e arrogante nel reclamare questa indipendenza dal nostro controllo, la stessa che fa evidentemente preferire un sistema elettorale che ci ha espropriato della possibilità di esprimere le nostre scelte, la stessa che ostinatamente ricorre a procedure decisionali autoritarie, alla decretazione, al ricorso alla fiducia, fino all’erosione progressiva della sovranità statale con l’abbattimento dell’edificio costituzionale. E che è anche una ostentazione di autonomia, esercitata coi più deboli, da parte di inveterati esecutori di volontà altrui, gli ubbidienti interpreti di parole d’ordine tanto astratte quanto imperiose, proclamate dai “mercati”, dall’ “Europa”, dallo “sviluppo”, dalla “concorrenza”. Disciplinati con loro fino all’assoggettamento, insubordinati alle leggi, alle regole, a noi che li eleggiamo, si compiacciono di una trasparenza solo estetica, di una esibizione solo decorativa, di un disvelamento solo formale che rendono palese soltanto quello che ci permettono di vedere, grazie alla correità di media sempre più acquiescenti o ricattati.
È un regime appannato, mediocremente torbido quello che si avvale della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, e che si riproduce per connivenze, clientele, omissioni, rinvii e silenzi. E le ricchezze non denunciate non possono redimerli dalla loro triste miseria.